Attestato fin dal IX secolo con il nome di Bardisca (probabilmente da Bardo e iscus, la città dei Longobardi), il comune più occidentale d’Italia è sempre stato un luogo privilegiato d’incontro – e talora di scontro – fra popoli, lingue, culture. Non a caso da queste parti i briganti erano chiamati briançones: tra il 1550 e il 1700 erano frequenti le incursioni di armigeri dalla vicina cittadella fortificata di Briançon. Tale era l’importanza della Val di Susa come via di collegamento che già nel 1832 si progettò di creare un traforo ferroviario sotto il Frejus per collegare i due versanti della Savoia, allora sotto il Regno di Sardegna; il tunnel venne inaugurato nel 1871, quando lo sbocco occidentale della galleria era già passato in mano francese.
Dalla panoramica passeggiata Decauville dello Jafferau si scorge il pittoresco paesino di Rochemolles, proprio sotto la cima del Frejus. La tradizione vuole che sia stato fondato da pirati di origine saracena; i ritrovamenti archeologici confermano che i Saraceni risalirono fin quassù già dal 906, restandoci poi per un secolo. Furono probabilmente loro a intagliare la parete rocciosa in località Roccatagliata e – nella frazione Rochemolles – a incidere la corniche che collegava il massiccio dello Jafferau con la ripida parete nord del Monte Bramafam, oggi palestra ambita per gli amanti delle cascate di ghiaccio (si veda il capitolo Piccozze in alto). Crearono così un canale che permise di sgomberare la piana dal lago che la ricopriva, lasciando libere di fluire verso valle le acque della Dora di Bardonecchia (affluente della Dora Riparia).
I Saraceni furono cacciati attorno all’anno Mille dagli antenati dei Savoia, che però in pochi anni iniziarono a contendersi il territorio con il Delfinato francese. Alla fine gli Albon ebbero la meglio e governarono su Bardonecchia dal XIII secolo al 1713, quando la città tornò al Regno di Sicilia con il trattato di Utrecht. Ma le alternanze di bandiera non finirono qui: nel 1947 il versante superiore della Valle Stretta passò alla Francia, anche se la maggior parte delle proprietà terriere restò in mano agli italiani.
Nel 1970 il Club Alpin Français di Briançon ha restituito simbolicamente il Rifugio Terzo Alpini al CAI di Bardonecchia, che lo ha reso in pochi anni l’emblema dell’alpinismo transfrontaliero. Ancora oggi d’inverno la valle è raggiungibile solo dall’Italia, in quanto la strada che arriva dalla francese Nevache non viene ripulita dalla neve e non è transitabile con veicoli a motore.
Con le ciaspole o gli sci si cammina in vista delle cosiddette Dolomiti della Val Stretta, su suolo ufficialmente d’oltralpe ma di proprietà italiana, con lo sguardo sul Monte Thabor (3.178 m), oggi interamente in territorio francese ma un tempo al confine tra le due nazioni. Sulla vetta sorge l’antica cappella della Madonna Addolorata, edificata nel 1694 da cittadini savoiardi. Il santuario è venerato con una lunga processione che parte dalla frazione di Melezet e che va in scena sin dal 1860, quando gli abitanti del borgo scamparono miracolosamente a una terribile epidemia.
Un secolo di sci
Bardonecchia è adagiata a 1.312 metri d’altezza, sul limite settentrionale della Val di Susa e nel cuore della conca dove convergono le quattro valli che ali-mentano la Dora di Bardonecchia: la Val Stretta, la Val Fredda, il Vallone del Frejus e quello della Rho. È circondata da note e imponenti vette: il Frejus, il Monte Thabor, lo Jafferau e il Pierre Menue, la cima più alta delle Alpi Cozie.
Non è un caso quindi che la sua storia moderna sia strettamente legata alla diffusione dello sci: già nel 1904 lo Ski Club di Torino (il più antico d’Italia) organizzò qui le prime gare sui pendii del Colomion. Nel 1908 si costruì il trampolino per il salto dove nel 1911 i fratelli Smith fecero sognare gli appassionati della nuova disciplina. In pochi anni la città divenne ritrovo di villeggianti: tra essi Giovanni Giolitti, che contribuì ad accrescere la notorietà del centro invernale. L’antico borgo di case in pietra si popolò di eleganti ville liberty – come il Palazzo delle Feste, sede del teatro e del centro congressi – concentrate attorno a Via Medail, il corso principale dedicato all’ideatore del traforo.
In cima alla salita dello stradone (isola pedonale nei finesettimana) sorge il borgo vecchio con la chiesa di Sant’Ippolito; qui inizia il sentiero per la Tur d’Amun, l’antica torre difensiva dove si rifugiarono gli ultimi Ugonotti in fuga dalla Francia. Nel 2006 Bardonecchia è tornata alla ribalta come campo gara per le prove di snowboard dei XX Giochi Olimpici Invernali di Torino, e per presentarsi all’importante appuntamento ha rinnovato tutti gli impianti di risalita. Oggi il comprensorio sciistico, che conta cento chilometri di piste, è diviso in due settori. Sulla sinistra orografica della Dora s’innalza lo Jafferau, con gli impianti che arrivano sino a 2.800 metri e un’esposizione soleggiatissima a sud-ovest.
Le piste più alte (sette rosse e due blu) si aprono su un paesaggio mozzafiato e godono di un buon innevamento, garantito anche in caso di scarse precipitazioni (sono però esposte al sole tutto il giorno, e pertanto vi si possono formare nelle ore notturne dei lastroni di ghiaccio). La nuova cabinovia del primo tratto, accessibile anche senza sci, raggiunge la stazione intermedia di Bardonecchia 2000.
Da qui si percorre con le ciaspole ai piedi la panoramica Decauville, una passeggiata a mezza costa di quattro chilometri (solo andata) con un dislivello trascurabile (circa 50 metri) che raggiunge i piani della Grange La Croix, da dove si possono scorgere il borgo di Rochemolles e il Frejus. Unica avvertenza: purtroppo talvolta la pista viene utilizzata dai gatti delle nevi e può capitare di trovare il fondo sconnesso e gelato. Sul versante opposto della Dora si estende il complesso del Colomion-Melezet, affacciato sulla Valle Stretta, che comprende gli impianti di Campo Smith, Les Arnaud e Melezet, collegati tra loro da alcune piste blu e da un servizio di bus navetta.
Da Campo Smith, raggiungibile a piedi dal centro, parte un’emozionante escursione notturna con gatto delle nevi. A bordo dei colorati snow cat, attrezzati con carrello passeggeri, si risalgono le piste durante la prima battitura e si raggiungono al tramonto i rifugi di Pian del Sole, Colomion e Chesal per godere del sole che cala sulle vette e di una romantica cena in quota. In alternativa, dopo una giornata sugli sci, si potrà sorseggiare il bicerin – tradizionale caffè torinese con cioccolata e crema di latte – nei numerosi bar del corso o addentare un gianduiotto nella storica pasticceria Ugetti: un’arte che si apprende dai maestri di sci insieme alle tecniche di discesa.
Verso il Monte Thabor
A Melezet si trova invece lo snowpark che ha ospitato le gare olimpiche; la frazione è anche la sede di una scuola d’intaglio (si veda il capitolo “I fiori nel legno”). Nel minuscolo centro, oltre alla chiesa di Sant’Antonio Abate con i suoi grappoli lignei, si può visitare la Cappella della Madonna del Carmine, sede dell’interessante Museo di Arte Religiosa Alpina.
Proseguendo sulla strada principale si raggiunge Pian del Colle, ultima località prima del confine e ultimo centro abitato carrozzabile. Qui si trova un bell’anello da fondo di otto chilometri, con possibilità di noleggiare attrezzature e di allungare il tracciato sulla pista che attraversa la Valle Stretta, lunga venti chilometri e battuta nei fine settimana.
Da Pian del Colle si snoda anche il tracciato di un’escursione da affrontare con le racchette da neve. La prima parte del percorso procede oltre la diga delle Sette Fontane su una carrareccia ben battuta sino a Grange di Valle Stretta (un’ora e mezzo), dove si trovano i Rifugi Re Magi e Terzo Alpini. Tralasciando la strada che sale per qualche curva si può attraversare il piccolo borgo seguendo i cartelli per Lago Verde e Pont de La Fonderie, con una spettacolare vista sul Monte Thabor. Superando la pista per il fondo o seguendo la riva del ruscello si raggiunge l’ultima malga; quindi ci si sposta nuovamente a sinistra sulla costa del monte sino a raggiungere i cartelli dei sentieri.
Al bivio si può quindi scegliere se svoltare a destra in discesa per il Lago Verde (invisibile oltre il colle, con bei ponticelli sul torrente) oppure procedere a sinistra salendo a mezza costa in direzione del Pian de la Fonderie, l’ultimo bell’alpeggio prima della salita al Thabor: quest’ultima è facile nel periodo estivo, mentre d’inverno va affrontata solo da escursionisti esperti oppure in compagnia di una guida alpina.
Piccozze in alto
Un colpo, un respiro e un calcio contro il ghiaccio. Renzo mi corregge e sostiene dal basso: piccozza più verticale, rampone più preciso, progressione più fluida senza trattenere il fiato. La cascata del Bramafam è un must per i neofiti dell’arrampicata e per coloro che vogliono cimentarsi in questo sport, a condizione di avere una buona preparazione fisica e una certa abitudine all’ambiente nevoso. Questa bella colata verticale ha pendenze del 75-85% ed è esposta a nord, quindi si mantiene in buone condizioni per quasi tutta la stagione; per salirla ci si cimenta in due tiri di corda non troppo faticosi, con alcune soste attrezzate a spit su roccia (sul lato destro della cascata) e un breve avvicinamento nel bosco dopo aver lasciato il veicolo presso il Ponte sulla Dora tra Beaulard e Bardonecchia.
Ma l’aspetto più affascinante sono gli accompagnatori: tra le ottime guide di Bardonecchia c’è anche Renzo Luzi, considerato il padre della salita su ghiaccio in Piemonte e famoso per aver scalato tutto l’arrampicabile. Dall’eccezionale prima apertura della Cascata del Freney sul Monte Bianco nel 1980 fino all’ascesa dei 167 metri della Mole Antonelliana, nel dicembre del 2012, in occasione del centocinquantesimo anniversario del monumento.
I fiori nel legno
Lo scalpello del mastro intagliatore entra sicuro nel blocco di cimbro come fosse burro, intagliando con maestria davanti ai miei occhi il disegno appena accennato a matita, una forma tondeggiante e complessa con intrecci di fiori e tralci. Invece la mia sgorbia – come ho imparato a chiamarla – s’impenna, scalpita e fa una gran fatica, sotto le mie mani incerte, a seguire il semplice riquadro a stella che mi accingo a scolpire.
Allievi di ogni età si radunano, due sere alla settimana, alla Scuola di Intaglio di Melezet, un laboratorio speciale che porta avanti una tradizione già attestata nel 1550. La scultura più apprezzata del territorio è una corona di piante mediterranee dove melograni e limoni si adagiano su girasoli e grappoli d’uva. Elementi che l’ignoto autore delle prime opere conservate nella chiesa di Sant’Antonio Abate non aveva probabilmente mai visto sulla pianta e tanto meno assaggiato. Ma che ben rappresentavano la ricchezza del Delfinato francese a cui apparteneva la diocesi di Bardonecchia, che all’epoca estendeva i suoi confini sino alla Provenza e alle Alpi Marittime.