Balla coi pupi

Paladini veri dell'arte scenica difendono la tradizione dei pupi siciliani. E cantano ancora le gesta dei Paladini di Francia, negli ultimi teatrini dell'isola. In particolare a Palermo, dove è aperto anche un importante Museo Internazionale delle Marionette.

Indice dell'itinerario

Il teatrino dei pupi “Santa Rosalia” di Palermo è situato in Via Bara all’Olivella 95, stretta e lunga strada nel cuore della città, fra il vecchio Teatro Massimo e il Museo Archeologico. Perché il teatro dei pupi era il teatro della gente e doveva stare in mezzo a voci di mercato, testimone dello scorrere del tempo. Le vicende narrate dai pupari si ispiravano al passato remoto e favolistico: quello dei Paladini di Francia e Carlo Magno, di Rolando e della Chanson de geste.
Mimmo Cuticchio è l’ultimo dei pupari di Palermo, dalla folta barba grigia e dalle poche taglienti parole: quelle che servono a far parlare i suoi personaggi. Ha l’aspetto di un cantastorie d’inizio secolo (si veda anche il servizio sul cantastorie Franco Trincale nel n. 302 di PleinAir), uno di quelli che si metteva su di una predella di legno e affascinava la gente con racconti straordinari agitando spade nell’aria.
E’ ormai l’unico rimasto a declamare il cuntu (racconto) dei vecchi cantastorie con il ritmo dell’antica scansione, l’arte difficile di raccontare appresa da Don Peppino Celano, artista girovago del Rione Capo di Palermo morto venticinque anni fa. Quand’era piccolo, Mimmo girava per i paesi della Sicilia col padre Giacomo; lo aiutava a cambiare le scene, gli passava i pupi, li rimetteva a posto, i Saraceni a destra e i Cristiani a sinistra.
Una volta arrivati in un posto, per annunciare gli spettacoli, i pupari esponevano i “cartelli” dipinti su tela, a più quadri, che rimanevano al sole e alle intemperie per molto tempo e così ogni tanto dovevano essere pazientemente ritoccati. Nelle piazze si tenevano lunghi spettacoli a puntate e quando la gente ne aveva abbastanza, teatrino e opranti cambiavano paese. Le compagnie teatrali si muovevano con lenti carrozzoni, come nella favola di Pinocchio, col loro corteo di marionette ciondolanti.
Nei teatrini la folla commentava le gesta dei Paladini con grande partecipazione, si agitava sulle sedie, ripeteva le battute, imparava a conoscere il mondo al di là del suo piccolo universo. Durante lo spettacolo passava il venditore di gazzosa, di calìa e simenza, ceci abbrustoliti e semi di zucca, e le voci del burattinaio erano come strade da seguire che segnavano l’aria piena di calore.
Gli spettatori imparavano quello che succedeva in India, in Asia, apprendevano le gesta di Pipino, Carlo Martello, Carlo Magno e restavano sempre a bocca aperta davanti agli sfondi dipinti che cambiavano a ogni scena.
Penso che fare il puparo agli inizi del secolo fosse una gran bella soddisfazione. Quando sono passato io, davanti al teatrino di Santa Rosalia c’era come una volta il cartellone dipinto raffigurante le imprese dei Paladini, solo che poi, durante lo spettacolo, gli alunni delle scolaresche parlavano del concerto di Ligabue a Marsala. Ed erano così lontani che anche loro parevano marionette, solo che erano nel teatro sbagliato.
Tenere vivo oggi un teatro di pupi è quasi un atto di fede contro l’indifferenza della gente e degli amministratori. Dovrebbero vedere quello che fanno i pupari dietro il palcoscenico, in quello stretto, ombroso corridoio dove sono appese le marionette in attesa di prendere vita. Vedrebbero in un’ora di spettacolo dispiegarsi una forma d’arte pura e antica, miracolosamente scampata all’era dei navigatori multimediali.
Mimmo mi ha permesso di assistere alla rappresentazione dietro le quinte, di vedere le pesanti marionette alte 80 centimetri perdere la testa per un colpo di scimitarra, in mezzo a rumori di scudi e di battaglia. Occhi di pupi e occhi di pupari roteavano tra fili, volti lignei e piccoli fumi. Ogni gesto era sincronizzato e i pupi passavano di mano freneticamente, entravano in scena o finivano attaccati a un chiodo di ferro.
Mimmo interpretava tutti i personaggi: faceva la voce della femmina, di Agricane, di Orlando, primo paladino. Intanto il figlio Giacomo creava i rumori del duello agitando sonagli, percuoteva tamburi, suonava corni, mentre la piccola Sara faceva il sibilo del drago soffiando in una grande conchiglia. In questo spazio ridotto pieno di voci e rumori o più estesamente all’interno del piccolo teatro di Santa Rosalia, scorreva un raro pezzo di storia: l’opera dei pupi è una forma teatrale unica al mondo, che andrebbe salvaguardata come una preziosa reliquia. E invece ci vuole un manipolo di eroi che deve combattere per non farla morire.

PleinAir 311 – giugno 1998

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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