Autunno lucano

In camper e a piedi sulla tavolozza autunnale del Parco del Pollino. Dalle vie dei borghi ai sentieri in quota, dalle faggete in fiamme ai pini loricati, in un crescendo di suggestioni colorate.

Indice dell'itinerario

Il più esteso dei nostri parchi nazionali occupa i territori al confine tra Basilicata e Calabria, dove innalza la barriera montagnosa che contribuì in passato a rendere difficoltosi i collegamenti verso l’estremo sud della Penisola. Questi monti presentano sul versante meridionale forme spesso aspre, con dirupi e intagli torrentizi della roccia che creano quadri di brusca romantica bellezza; sul lato nord disegnano invece paesaggi più morbidi, nei quali i percorsi adatti al camper si insinuano lungamente sull’altopiano e le cime si offrono all’escursionista con numerose varianti. Anche per la notevole ampiezza complessiva delle superfici interessate dal parco abbiamo dunque concentrato l’attenzione sulla parte più elevata della fascia lucana. Una visita di stagione che si sviluppa essenzialmente per boschi rosseggianti nella veste autunnale e attraverso i paesi più prossimi alle occasioni d’escursione.
La sinuosa e ormai poco frequentata nazionale 19 che, lasciata l’autostrada Napoli-Reggio permetterà di gettare un primo sguardo sul massiccio del Pollino, corrisponde alla borbonica strada delle Calabrie, rimasta fino agli anni Venti – quando vennero resi agibili percorsi litoranei – unico collegamento con l’estremo Mezzogiorno.
Per il brigantaggio che negli anni immediatamente successivi all’Unità fece di valli e boschi del Pollino un rifugio ideale, la vecchia strada (erede della romana Via Popilia) fu teatro di molti episodi criminali. Proprio lungo il tratto da noi percorso, il passo che conduce a Castelluccio fu campo d’azione preferito per gli agguati da quell’Antonio Franco rimasto il più famoso capobanda nell’area del massiccio. Tipica la grassazione dell’agosto 1863 ai danni di una quindicina di gentiluomini, tra cui due dame, che scortati da una ventina di uomini della Guardia Nazionale rientravano al paese di Senise dai bagni di Maratea. Al termine di un cruento scontro le donne vennero rilasciate, gli altri furono portati sul Pollino dove vennero trattenuti fino al pagamento di 23.000 ducati, poi divisi tra i quaranta componenti della banda. Come molti altri, Franco aveva iniziato nel 1860 da renitente alla leva (durava allora otto anni!) una densa carriera ben folta di episodi che si concluse nel 1865 con cattura a Lagonegro e processo e fucilazione avvenuti a Potenza. Nel Novecento, spentasi ormai l’eco dei briganti, il percorso della strada delle Calabrie venne scelto per l’installazione della strada ferrata a scartamento ridotto calabro-lucana (in funzione sino agli anni Sessanta) non priva di particolari opere d’arte ferroviaria, come un tunnel elicoidale per superare il dislivello quasi verticale tra Castelluccio Inferiore e Castelluccio Superiore. Potrete deviare brevemente in quest’ultimo paese per godere l’ampio colpo d’occhio sulla sottostante valle del Mercure e verso il massiccio ancora lontano, proseguendo eventualmente per qualche chilometro fino al querceto d’alto fusto con zona picnic, detto La Difesa. Una curiosità era l’usanza di far sfilare durante il Carnevale dodici uomini che, raffigurando i vari mesi, recitavano ciascuno un episodio inerente al mese rappresentato.
La larga valle del Mercure, che attraversiamo per raggiungere alle falde del Pollino l’importante centro di Rotonda, fu mezzo milione d’anni fa un grande bacino che gli immissari andarono colmando con detriti che avrebbero raggiunto uno spessore di 250 metri. Più tardi un emissario avrebbe progressivamente eroso la soglia situata sul lato sud-occidentale fino al prosciugamento del lago. Una delle profonde forre create dagli antichi immissari è riconoscibile sul lato destro della strada che sale a Rotonda. Nel paese il Museo Naturalistico del Pollino possiede (insieme a resti di un rinoceronte) un reperto di valore in uno scheletro praticamente completo di Elephas antiquus. Venne scoperto vari anni fa dal padrone di una casa colonica che lavorava a un ampliamento, ma occorse scavare una decina di metri per portare alla luce tutte le parti dell’ossatura, compresi gli enormi femori. Dovrebbe trattarsi, a giudicare dallo stato della dentatura, di un esemplare giovane, probabilmente scivolato nel preistorico lago del Mercure e inghiottito da sabbie e argille. Mentre scriviamo, si attende per la ricomposizione dello scheletro il completamento dei restauri dell’ex convento annesso al cinquecentesco santuario di Santa Maria della Consolazione, poco fuori Rotonda, dove sarà la sede definitiva del museo e, si pensa, dell’Ente Parco. Al momento quest’ultimo è sito in Palazzo Amato, che mostra il più bello e ornato tra i portali vantati dal paese. Interessanti anche le diverse fontane in pietra di gusto arcaico ad opera di un artigiano del posto che ha ripreso la vecchia arte degli scalpellini in grigia dolomia del Pollino. Siamo nelle viuzze del centro storico medioevale che copre il versante sud dell’altura su cui rimangono pochi resti del castello. In cima si gode una panoramica veduta sul paese e sulla valle del Mercure. Noi abbiamo fruito del comodo parcheggio nei pressi della piazza del paese, sul quale affaccia un piccolo laboratorio da tener presente per piatti pronti e svariate specialità di pasta fresca.

Strade di montagna
Il percorso da Rotonda è il più breve per arrivare agli oltre 1.500 metri di altitudine del Rifugio De Gasperi. L’asfalto tocca a 1.300 metri il Piano Pedarreto, con l’omonimo rifugio, quindi il bivio per il Rifugio Fasanelli (abbiamo trovato chiusi entrambi), per incontrare infine la strada che sale da Mormanno e poco dopo il De Gasperi (aperto tutto l’anno, tel. 0973 661080). Questo rifugio, che dispone di alcune camerette, si trova all’inizio del vasto Piano Ruggio, in estate il sito più frequentato del massiccio. A pochi metri dalla struttura è situata una fontana adatta a rinnovare le scorte del v.r. Lasciando il mezzo al rifugio, una breve e facile escursione dai modesti dislivelli permette di raggiungere in circa 50 minuti il belvedere di Malvento attraversando il prato di Piano Ruggio, poi sulla destra la valle sparsa di faggi troncata al suo termine da un precipizio quasi a picco sulla calabrese valle del Coscile. Sui costoni rocciosi ai due lati del belvedere si possono scorgere in lontananza le irregolari sagome dei pini loricati. Alcune centinaia di metri prima del belvedere, sulla sinistra, la singolarità del Faggio delle Sei Sorelle, cosiddetto perché composto di altrettanti fusti che si fusero in un unico albero.
Vi sono però altri approcci stradali, come quello da Viggianello, alla media quota e da essa alle vette. Viggianello si raggiunge da Rotonda costeggiando la valle del Mercure per una strada che passa a breve distanza (tabella) dalle limpide sorgenti del corso d’acqua. Le case del paese scendono a cascata dalla collina offrendo scorci particolarmente suggestivi, ma all’ingresso dell’abitato il parcheggio sulla destra è l’unica possibilità di sosta per un camper. Appena dopo, la breve strettoia tra gli edifici non dà in genere problemi, data la scarsità del traffico. Da qui in poi la strada sale per qualche tempo tra boschi di querce, per poi librarsi con ampi panorami a mezza costa di una bancata calcarea. Passato l’isolato villaggio di Torno, dall’asse principale che prosegue con un lungo percorso verso San Severino Lucano si distacca sulla destra una pista asfaltata che sale in breve ad abbracciare alcune tra le maggiori cime in una veduta da cinemascope. Da qui in avanti per noi, avanzando tra grandi estensioni di prati, l’approssimarsi delle montagne rosseggianti o già violette per le fitte faggete è stato uno spettacolo difficile da dimenticare. Lo stretto nastro d’asfalto potrebbe certo complicare l’incontro con qualche altra macchina ma, data l’apertura delle vedute, una guida lungimirante permette solitamente di fermarsi in uno scansatoio adatto all’incrocio. Ricordatevi della pista sulla sinistra che s’incontra a 3 chilometri dall’inizio della nostra: è l’ottima scorciatoia, attraverso i villaggi di Voscari e Mezzana, che vi converrà percorrere se vorrete più tardi raccordarvi con San Severino Lucano. Ne riparleremo.
Più avanti sembra voglia sbarrarci la strada la Timpa del Demonio, curiosa e forse inquietante formazione calcarea a ventaglio. Le cime si avvicinano, il Pollino a sinistra, la Serra del Prete al centro, il Grattaculo sulla destra. A sentire i pastori, il bizzarro nome di questa montagna dai 1.900 metri di quota deriverebbe dall’abbondante presenza verso la vetta di arbusti di rosa canina, della quale le capre vanno ghiotte ma a prezzo di fastidiosi pruriti che cercano di lenire su qualche roccia. La nostra pista ora si allarga, diviene una strada calata nel fitto della faggeta. Quando sulla sinistra s’incontra uno sterrato chiuso da sbarra, mancano solo quattro o cinque chilometri di buona strada al Rifugio De Gasperi (cioè a chiudere un eventuale percorso circolare con Rotonda), toccando l’ampia radura detta del Faggio Grosso e Piano Ruggio. Siamo a quasi 1.600 metri di altitudine, a Colle d’Impiso, il cui significato (‘passo dell’impiccato’) ricorda quanto dicevamo del vecchio brigantaggio nell’area montana. Se si mira alle cime, lo sterrato da Colle d’Impiso è punto d’avvio di una serie di escursioni che comprendono le vette più alte, anzitutto il Pollino e il Dolcedorme. Più d’una le varianti, mediamente dalle sei alle otto ore i percorsi tra andata e ritorno. Quello più diretto permette di salire al Pollino in tre ore e mezzo (cinque ore e mezzo a/r) passando per i Piani di Vacquarro, sfiorando il Piano di Toscano e affrontando poi la spalla sud-est del monte. Le escursioni nel massiccio richiedono comunque grande prudenza; mentre scriviamo manca ancora la segnaletica sui sentieri e nel vasto dedalo di boschi e valli più d’uno ha perduto l’orientamento, non solo per i possibili repentini arrivi della nebbia. I punti informativi del parco presenti in tutti i paesi del nostro itinerario possono mettere a disposizione guide locali, previo accordo (Ente Parco tel. 0973 661692 o 0973 661027).

Pollino orientale
Per dirigere verso San Severino Lucano ritorniamo alla scorciatoia già notata che attraversa il ridente paesaggio delle frazioni di Mezzana. Un campeggio, chiuso fuori stagione, ha sede a Mezzana Salice dove troviamo in corso di restauro il mulino, poi gualcheria e filanda, appartenuto a un animoso ufficiale della Guardia Regia che si distinse nella repressione del brigantaggio.
Ma i posti offrono dell’altro. Da Mezzana Frida una strada sale verso il monte rasentando le cosiddette sorgenti del Frido (che nasce comunque ben più in quota, oltre i Piani di Vacquarro); allo slargo successivo, una pista sulla destra (segnalino in legno) s’immerge nel rosso bosco di faggi sino al termine dell’asfalto, due chilometri più avanti, con buone possibilità di parcheggio. Qui lasceremo il nostro mezzo: ci attendono i due chilometri di pista a ciottoli e ghiaia che ci porteranno ai 1.537 metri di quota della Madonna di Pollino, il santuario che dal Settecento è una delle grandi mete di pellegrinaggio dai paesi di Lucania e Calabria (vedi PleinAir n. 311). Ma una visita autunnale, se deve rinunciare al pittoresco quanto caotico bagno di folla degli inizi di luglio, presenta appunto il vantaggio di conoscere i luoghi in un momento di pace e silenzio che ha certo un suo diverso incanto. La statua della Madonna è stata portata in settembre a San Severino, da dove ritornerà in giugno. Tranne la presenza di alcuni operai che lavorano a certe ristrutturazioni, il sito è deserto, la chiesetta chiusa, così come il rifugio poco distante che può essere punto di partenza per l’escursione alla vetta del Pollino e ad altre passando per il Piano di Iannace.
San Severino Lucano, di cui fu feudataria la famiglia napoletana dei Sanseverino, sorse alla fine del XV secolo come asilo per i coloni dipendenti dal monastero del Sagittario (pochi resti nelle campagne di Cropani). Il paese, che sorge in un sito pianeggiante, tramite interventi dell’amministrazione che ha fatto con successo appello al volontariato, negli ultimi anni ha dato sostanza a un proprio progetto turistico, tinteggiando facciate e rifacendo intonaci, ricreando pavimentazioni, dando fin dove possibile l’ostracismo agli infissi in alluminio, rendendo insomma l’ambiente urbano certamente ordinato e accogliente. Nascevano frattanto nuovi negozi e iniziative artigiane anche in campo alimentare sicché il paese, che dispone di una propria ricettività, ha visto concretarsi l’aspirazione a diventare un punto di riferimento nell’ambito del turismo verso il Pollino. In tale visuale riteniamo vada visto anche il camper service di libera disponibilità (acqua e pozzetto di scarico), prezioso per essere al momento l’unico impianto del genere su tutta la fascia montana da noi percorsa. Poco distante dal paese passa il corso del Frido, lungo il quale sorgevano in passato numerosi mulini. Tra questi, notevole per lo stato di conservazione delle attrezzature il Magnacane (contattare in Comune Giovanni Bernardini, tel. 0973 576132). Alcuni chilometri a valle di San Severino, a quota 650, il Frido riceve un limpido affluente: è il Peschiera, spina dorsale di una superba passeggiata nel vasto e bellissimo Bosco Magnano, riserva naturale orientata. La camminata si può iniziare sia presso la confluenza sia un chilometro oltre la località Taverna dei Briganti. In entrambi i punti, buone possibilità di parcheggio; la Taverna è però preferibile qualora con la bici ci si voglia servire della pista forestale. Il grande bosco ha la particolarità di associare annosi esemplari di cerri e faggi, questi ultimi presenti nonostante la bassa quota e ancora verdeggianti quando in autunno avanzato la montagna ne è già tutta arrossata. Nel Peschiera risale a una decina d’anni fa l’ultimo avvistamento della lontra.

Val Sarmento
Sono passati solo un paio d’anni da quando, per raggiungere Terranova di Pollino presso la testata della valle del Sarmento partendo da San Severino, avremmo dovuto compiere un giro vizioso di una settantina di chilometri attraverso il fondovalle del Sinni. La distanza si riduce oggi a meno di 25 attraverso una pista asfaltata che permette di restare sempre in quota (d’inverno è quasi sempre chiusa per neve). Si tratta di tornare al bivio per la Madonna di Pollino e girare a sinistra invece che a destra. Da qui un suggestivo percorso tra i faggi raggiunge la massima quota nei pressi del fontanile in legno alla radura dell’Acqua Tremola, per poi scendere in vista della gola della Garavina alla frazione di Casa del Conte e ai 900 metri d’altitudine di Terranova di Pollino. Il paese ebbe un fondatore, Fabrizio Pignatelli, feudatario vissuto tra il Cinquecento e il Seicento, che volle l’insediamento per estendere le attività di agricoltura e pastorizia. Interamente circondato da contrafforti montuosi, per il suo antico isolamento desta una sensazione di serenità che ha sicuramente contribuito all’attenzione dei visitatori, spesso esteri, che arrivano anche al di là dei consueti mesi estivi. In paese va segnalato il ristorante Luna Rossa per la grande attenzione alla cucina tradizionale. Un’interessante passeggiata nei paraggi di Terranova richiede di tornare per circa quattro chilometri verso Casa del Conte, dove il bivio sterrato con l’indicazione “Catusa” porta presto alla Timpa delle Murge, prodotto di antichissime e violente emissioni sottomarine condensatesi in tondeggianti cuscini di lava. Tenendo sempre la sinistra, dopo tre chilometri si arriva a un rifugio dismesso e, oltre la vicina sbarra, a un’invitante radura accanto alla quale sgorga sotto alti faggi l’arcadica sorgente Catusa. Sulla via del ritorno, prendendo il secondo bivio a sinistra si avrà modo di apprezzare la singolarità della Timpa di Pietrasasso, anch’essa vulcanica, riguardo alla quale la fantasia popolare alimentò fosche leggende.
La già vista Acqua Tremola è invece il valido punto di partenza per escursioni di altro respiro, oltre i 2.000 metri di quota. Lasciato il mezzo presso la radura, circa un chilometro oltre si stacca dalla rotabile una pista forestale (sbarra) che in un ambiente caratterizzato da faggi e abeti bianchi conduce al Piano Iannace e di qui alla Serra di Crispo (7 chilometri, dislivello 600 metri) oppure alla Serra delle Ciavole (circa 8 chilometri, dislivello 680 metri). Entrambe le mete permettono di scoprire superbi pini loricati vecchi di secoli.
Abbiamo sperimentato un’escursione meno impegnativa per avvicinare l’albero simbolo del Pollino, prendendo a Casa del Conte la deviazione asfaltata alla tabella che indica “Lago Fondo e Timpa Castello”. Giunti, dopo circa sei chilometri, all’irregolare sterrato sulla destra (tabella per Lago Fondo), lo si segue dopo aver lasciato il mezzo nell’area situata poco oltre l’imbarco. Il minuscolo lago sorgivo va cercato dopo forse dieci minuti sulla sinistra. Nella seconda parte il percorso si fa meno evidente, ma rimane abbastanza facile raggiungere in poco più di un’ora e con un dislivello di 300 metri la duplice rupe sporgente, riportata sulle carte come Pietra Castelli (1.700 m), dove alcuni pini loricati, respinti in alto dall’invadenza della faggeta, si abbarbicano disperatamente a certi calcari che simulano resti di antichi castelli. Potrete notare le loro possenti radici, la corteccia a losanghe simili a piccoli scudi (dal latino lorica, corazza), i tronchi e i grossi rami talvolta contorti nella resistenza al vento. Più in alto, tra Serra Crispo e Serra delle Ciavole, si estende la cosiddetta Grande Porta del Pollino.
A valle di Terranova di Pollino la strada scende ad attraversare la lunare distesa della fiumara del Sarmento, ai lati della quale vennero fondati da profughi d’oltre Adriatico, sfuggiti nel Cinquecento all’occupazione musulmana, i centri di cultura arberesh di San Costantino Albanese e San Paolo Albanese. I due paesi mantengono, con il solenne rito bizantino e chiese dalla caratteristica iconostasi, un integrale bilinguismo. In entrambi si possono visitare musei della cultura locale cui, a San Paolo Albanese, si aggiunge una sezione di notevole interesse dedicata al vecchio uso (scomparso solo verso il 1970) di lavorare artigianalmente la ginestra per ottenerne ruvidi tessuti d’impiego ordinario. Ma a San Paolo resiste tra le anziane anche l’uso di indossare, non solo per matrimoni e ricorrenze, i tradizionali costumi ricchi di colore. Una forma di incrollabile attaccamento alle proprie radici che non ricordiamo d’aver incontrato ormai da tanti anni in altre parti d’Italia.

PleinAir 375 – ottobre 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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