Arriva la banda

All'ombra del Gran San Bernardo, le maschere di Etroubles sfilano in una burlesca questua di Carnevale rievocando, nelle danze e nei costumi, tradizioni vecchie di secoli e la storia delle campagne napoleoniche.

Indice dell'itinerario

La mattina del Giovedì Grasso, la Coumba Freide è tutta in fermento: nella stretta vallata che collega la città di Aosta al Passo del Gran San Bernardo ci si prepara ad accogliere il Carnevale. Nel costume tradizionale, il volto nascosto da una maschera, le landzette scendono in strada e si affrettano lungo le caratteristiche viuzze del paese di Etroubles: camminano veloci lasciando nella neve le loro impronte che convergono nella piazzetta del Municipio, luogo d’incontro di tutti i personaggi di quest’antica manifestazione. Quando non manca più nessuno all’appello il portabandiera, vestito di nero con naso finto e cilindro in testa, soffiando nel suo corno raduna il gruppo e si incammina seguito dalla benda, a cominciare dai suonatori e dalla coppia formata dall’arlecchino e dalla demoiselle. Il primo indossa una casacca azzurra ricamata con paillettes, pantaloni multicolori, un più scanzonato cappello a cilindro decorato con fiori di stoffa, una cascata di nastri colorati e arricciati che gli scendono sulla schiena e specchietti che la tradizione vuole servano a scacciare gli spiriti malefici; una miriade di campanellini cuciti sul costume producono un caratteristico tintinnio mentre salta e balla. La dama, con il viso coperto da una mascherina, porta un abito di velluto anch’esso ricamato con paillettes e perline. Altrettanto ricco e variopinto è l’abbigliamento delle landzette con la giacca simile a un frac, una larga cintura che regge un grosso campanello, il cappello a forma di tricorno aperto verso l’alto, in mano un corto bastone da cui esce una coda di cavallo; seguono il diavolo, l’orso e per ultimi, distanziati dal gruppo, il toc e la tocca, la coppia di vecchi matti, lui in giacca e pantaloni, lei con una grande gonna, foulard in testa, seno e fianchi abbondanti.
La benda si dirige danzando verso la piazza principale dove le landzette formano un girotondo, al cui centro si dispongono gli altri personaggi. Quando la guida suona il corno, le maschere rompono il cerchio ed emettendo il loro tipico grido, l’etsello, si lanciano all’inseguimento di qualche spettatore per gettarlo nella neve o passargli la coda di cavallo sul viso o tra le gambe. L’atmosfera è carica di allegria: il demonio, con un abito rosso e una mantellina sulle spalle su cui si legge la scritta “W lo djablo”, punzecchia con il tridente le gambe della gente radunata tutt’intorno, mentre il toc e la tocca picchiano con il bastone tutti quelli che sono riusciti a sfuggire alle landzette.
Secondo l’usanza che vuole le maschere ospiti delle famiglie di Etroubles e delle frazioni vicine, la benda sosta nella cantina del sindaco. Mazurke, valzer e polke riempiono l’aria mentre il corteo gusta il vino, il caffè con la grappa e le dolci merveille a base di farina, uova e zucchero. E’ solo la prima tappa di un itinerario che prosegue nel villaggio di Echevennoz: qui ci si reca presso i Letey il cui banchetto è rinomato per la qualità delle salsicce e del formaggio, e poi nella casa e nella stalla dei Ronc dove ogni anno si trovano i peisson breusque, piccoli pesci che arrivano dalle lontane acque del Mediterraneo. Sarà poi la volta dei Veysendaz, che offrono un ottimo caffè a tutto il pubblico, e dei Farinet, nel cui ampio garage si possono gustare prosciutto e pane nero.La benda risale poi a Chez le Blanc dove tutte le maschere non vedono l’ora di affondare il naso nei grillet di patchocada, uova sbattute nello zucchero con vino e caffè, offerte dalla famiglia Marietty-Pomat. Lungo il sentiero passano in fila indiana davanti a una chiesetta del XV secolo, e qui balza agli occhi il contrasto tra il rigore delle immagini dipinte sulla facciata della cappella e la dissacrante festosità del corteo pagano, riportando alla memoria la prima testimonianza scritta sulla manifestazione. Correva l’anno 1476 quando il vescovo di Aosta chiese al duca di Savoia di adottare misure di repressione contro queste bande sfrenate di uomini che allora non portavano maschere, ma si rendevano irriconoscibili tingendosi il viso con la fuliggine. A quell’epoca non c’erano ancora le landzette, che fecero la loro comparsa solo dopo il passaggio delle truppe napoleoniche attraverso il colle del Gran San Bernardo, nel maggio del 1800: il loro costume ricorda infatti le divise dei soldati del Bonaparte.
E’ ormai mezzogiorno e le maschere, affaticate da mille giravolte e ondeggianti per il pieno di vini e liquori, rallentano il passo: è il momento migliore per osservare con attenzione la preziosità dei costumi, vere e proprie opere d’arte realizzate a mano e dal valore molto elevato (si dice perfino superiore ai 2.000 euro). Da qualche anno le maschere moderne di plastica o di gomma vengono via via sostituite da altre molto più caratteristiche in legno nate dalla creatività di Siro Vierin, un artigiano di Saint-Oyen noto in tutta la Valle d’Aosta. Ognuna di esse incarna uno o più simboli: il diavolo rappresenta la malvagità e le forze disgregatrici dell’uomo, l’orso le forze oscure della natura, l’arlecchino e la damigella sono una giovane coppia di sposi attorno a cui si raccoglie la popolazione, mentre il toc e la tocca sono i vecchi genitori di uno dei due nuovi coniugi.
La benda fa ritorno a Etroubles per mangiare pasta piccante, offerta da un ristorante del luogo, e per continuare la visita alle diverse famiglie del paese. La giornata si chiude nella taverna di Irene e Muzio, per poi danzare fino a tarda notte.
Il giorno seguente le maschere salgono alle frazioni alte – Prailles, Pallais, Eternod, Veillaz – da cui si gode un meraviglioso panorama su tutta la vallata. Di nuovo si gustano cibi succulenti innaffiati da buon vino, quasi a voler sottolineare la remota origine mitica del Carnevale forse derivato da una festa in onore del dio Bacco. Ed è ancora un momento di libertà assoluta per rovesciare i ruoli, scaricare la propria aggressività, giocare, divertirsi, prima di rientrare nei ranghi in attesa della primavera.

PleinAir 403 – febbraio 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio