Approdo di stagione

Cinque giorni in camper sull'isola del Giglio. Nell'Arcipelago Toscano, tra bagni ed escursioni senza folla

Indice dell'itinerario

C’è da mettere in conto anche la delusione: a rivedere dopo molto tempo un bel posto si rischia di trovarlo malridotto. Se poi si tratta di una piccola isola… Noi però al Giglio trascorremmo appena una breve vacanza di fine anno che, per quanto piacevole, non aveva soddisfatto la nostra voglia di esplorazione. L’occasione di una replica si presenta nell’ultima settimana di settembre che è anche l’ultima di apertura dell’unico camping dell’isola, il Baia del Sole, dove vogliamo e dobbiamo far base visti i divieti di campeggio libero: da lì, in pochi minuti si raggiunge a piedi l’abitato di Giglio Campese e quindi ci si può muovere con le autolinee o i taxi (giacché le pendenze rendono quasi inutili le biciclette). Per il resto si va per mare o si cammina – l’isola conta in tutto poco più di 20 chilometri quadrati di superficie e 28 chilometri di coste – proprio come invogliano a fare i poster affissi nel traghetto che ci imbarca con il nostro camper a Porto Santo Stefano e il pieghevole dell’ufficio turistico che ci procuriamo all’arrivo.

Anche fuori stagione è possibile servirsi, sia pure con minor frequenza, delle imbarcazioni che collegano le spiagge
Anche fuori stagione è possibile servirsi, sia pure con minor frequenza, delle imbarcazioni che collegano le spiagge

Quando tocchiamo terra scopriamo che non molto è cambiato: Giglio Porto, come allora, è carente di spazi e di parcheggi. Vengono i brividi al pensiero di cosa può diventare il molo nei periodi di punta, quando i residenti da un migliaio diventano 20.000, ma anche in bassa stagione è meglio allontanarsene subito; a visitare il borgo si tornerà poi con l’autobus.
Se si sbarca in mattinata, prima di raggiungere il Baia del Sole conviene fare un giro di ricognizione a piccola andatura per i circa 20 chilometri delle strade interne. Si scoprirà così che alcuni parcheggi per brevi soste ora si trovano sia a Giglio Campese, il centro balneare vero e proprio dell’isola, che a Giglio Castello, il centro amministrativo arroccato in alto. Poco a monte parte il sentiero dorsale che collega alcuni belvedere, fino al Poggio del Sasso Ritto dove si arriva in un paio d’ore circa, come dice il dépliant.

Il faro di Capel Rosso, all'estremità meriodionale di fronte a Giannutri, può essere meta di un'escursione balneare anche subito dopo lo sbarco
Il faro di Capel Rosso, all’estremità meriodionale di fronte a Giannutri, può essere meta di un’escursione balneare anche subito dopo lo sbarco

Noi siamo invece attratti da un’altra meta. Dal paese parte infatti una stradina asfaltata di 6 chilometri che è un balcone sul versante occidentale e conduce al faro di Capel Rosso, di fronte all’isola di Giannutri: si può percorrere sia a piedi che in camper – se il mezzo non è di dimensioni spropositate – fino ad alcuni piccoli slarghi terminali che consentono le manovre di conversione. Da qui si stacca un sentiero tra la macchia che scopre il faro e in mezz’ora si attesta sulle fantastiche scogliere del promontorio. Ce n’è di che trascorrere qualche ora a crogiolarsi come lucertole e a prendere un bagno, se piace il mare di scoglio; poi si torna indietro e ci si va a sistemare nelle piazzole a terrazza del campeggio.
Ma la giornata non è ancora finita. Freschi di doccia, la luce del tramonto che si spalma su fiocchi di nuvola, il disco del sole che s’immerge dietro la silhouette di Montecristo, rischieremmo una crisi mistica se non ce ne andassimo subito a Campese per la cena.

 

Panorami sul mare

Discesa tra la macchia mediterranea verso Punta Faraglione
Discesa tra la macchia mediterranea verso Punta Faraglione

Se volete fare come noi, il secondo giorno dedicatelo ai sentieri intorno a Campese. Il più bello in assoluto, anche perché assai panoramico, inizia dove finiscono le spiagge e conduce in circa un’ora alla Punta Faraglione. Nel citato pieghevole è indicato di difficoltà medio-alta ma in realtà presenta solo un paio di passaggi impervi, peraltro assistiti da staccionate; tant’è che molti lo percorrono addirittura con i sandali per andarsi a tuffare nelle calette del promontorio, ma è una solenne imprudenza. Occorrono invece robuste scarpe da ginnastica, meglio ancora le pedule, così tornando indietro si può anche deviare verso l’interno per una larga mulattiera che dalla spiaggetta del Pertuso sale in direzione Le Vigne; per un po’ si cammina in un bosco di lecci con l’idea che il percorso scavalli la collina e conduca sull’altro lato della scogliera, ma dopo aver effettivamente scavallato e offerto qualche bello scorcio il tracciato costeggia il recinto di un’area di ripopolamento faunistico e si arresta di fronte a un cancello chiuso, con tanto di divieto. Meglio perciò non arrivare al valico e deviare a sinistra appena si incrocia un evidente bivio: così si giunge in pochi minuti sotto i ruderi di alcuni edifici annessi a una miniera di allume, attiva fino a qualche decennio fa.

Un piccolo ristoro e si ripercorre il sentiero in discesa per essere di nuovo a Campese nel primo pomeriggio.Rimarrebbero il tempo e le forze per raggiungere anche Cala dell’Allume (chiari i trascorsi minerari), pregustando il piacere di un tiepido bagno vespertino, e perciò ci avviamo su un ampio sterrato nella direzione indicata, convinti di incrociare la centrale fotovoltaica che vedemmo la prima volta. Ma è una beffa dietro l’altra. Intanto, appena superata la prima curva incombe inattesa una rumorosa centrale termoelettrica, poi la carreggiata è percorsa da motorette, auto e persino autobus. Vuoi vedere che…? E infatti l’impianto solare è stato smantellato e al suo posto c’è il deposito delle autolinee locali, servito da un piazzale dove la strada finisce. Tutt’intorno è uno sfacelo, ma verso sud la macchia fittissima promette il mare. Dunque si continua… Si continua? Seguiamo per un po’ il sentiero individuato tra i rifiuti ingombranti, ma quando le tracce si sfilacciano in mezzo ai cespugli desistiamo: qui nessuno viene più a pulire e a mettere un segnale da almeno un paio d’anni, o così sembra. Eppure quest’area è tra le poche dell’isola a ricadere nei confini del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Peccato: resettiamo la memoria buttando nel cestino tutte le brutture e con le meraviglie di Punta Faraglione negli occhi dichiariamo finita l’escursione. Ancora una doccia ritemprante in campeggio, asciugatura al sole che smonta e altra cena al ristorante: per consolarsi basta.

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Tra spiagge e villette

L'abitato di Giglio Castello proteso verso la sua rocca, che domina il centro dell'isola
L’abitato di Giglio Castello proteso verso la sua rocca, che domina il centro dell’isola

Per colmo di prudenza, occorre recarsi a prenotare il traghetto del ritorno, cogliendo l’occasione per bighellonare a Giglio Porto e seguire il sentiero litoraneo che conduce in successione alle spiagge delle Cannelle e delle Caldane. Da Giglio Campese l’autobus impiega mezz’ora, con tappa a Giglio Castello; chi vuole approfittarne per una sosta in paese e poi riprendere l’autobus successivo, sappia che deve esibire un altro biglietto (si acquista dal tabaccaio e nei negozi convenzionati), che la corsa semplice va da una fermata all’altra anche se intermedia, e inoltre che l’autista non ferma a richiesta ma solo dove prescritto. In altre parole, se pensate di farvi lasciare in qualche punto per continuare a piedi, scordatevelo: per questo occorre servirsi di uno dei tanti pulmini-taxi attivi sull’isola, facendosi venire a riprendere nel luogo e all’ora stabiliti.

Ma torniamo a Giglio Porto. Il sentiero delle spiagge è all’inizio uno scenografico vicolo del borgo vecchio; poi diventa una stradina asfaltata che svela un bel panorama di mare verso l’Argentario, ma ci vogliono i paraocchi per sfuggire all’invadenza delle villette. Non è un caso che su questo versante il parco dell’arcipelago non trovi nulla da proteggere: il bracconaggio edilizio qui raggiunge livelli patologici e il sentiero fa lo slalom tra le proprietà private. Si riscatta un poco appena superata la prima spiaggia, che è a portata di ruote perché si incide tra rocce rossastre, supera alcuni scogli e invitanti baiette, poi precipita sulla cala delle Caldane. Ma come hanno fatto a tirar su tutti quei muri? Trasportando ogni cosa con le barche? E pensare che per secoli gli isolani hanno respinto i saraceni, mentre ora li accolgono in salotto. Fatto sta che dopo la spiaggia il sentiero in riva al mare si perde tra recinti e divieti sempre più minacciosi. Per arrivare al termine di Punta Torricella, dove si trovano una vecchia miniera di pirite e l’albergo Hermitage (noto anche perché il gestore cura un piccolo allevamento di asini), bisogna tornare indietro e farsi indicare il sentiero dell’entroterra che – a scanso di ficcanaso – non è segnalato.
A questo punto non ce la sentiamo più, come avevamo in animo, di risalire fino a Giglio Castello per l’antico camminamento, che il solito dépliant indica di difficoltà alta: e se questa volta avesse ragione? L’acqua cristallina delle Caldane ci regala un bagno coi fiocchi, e poi ce la prendiamo comoda nella rilassante atmosfera del porto: struscio, gelato, souvenir, dolce far niente appena increspato dall’arrivo di un traghetto e poi l’autobus ci riporta alla base.

 

Un giorno al faro

Un sentiero nascosto tra il verde per raggiungere il faro di Punta del Fenaio
Un sentiero nascosto tra il verde per raggiungere il faro di Punta del Fenaio

Da dietro gli oscuranti del camper s’illumina il quarto giorno di cielo sereno. Oggi si va al faro di Punta del Fenaio: pranzo al sacco, ovviamente, e senza fretta. Se il sentiero è in buono stato tra andata e ritorno potrebbero bastare anche due ore, ma per arrivare al punto di partenza è necessario prima scendere a Campese e accordarsi con un tassista che ci trasporti.
Detto fatto, in pochi minuti il pulmino risale la strada fino a Vaccarecce, al bivio del Faro Antico; da qui per un viottolo asfaltato raggiunge la sella di Scopeto e i parcheggi sterrati che si aprono tra alcune vigne, alla base di due rigogliose pinete di rimboschimento, meta di fresche scampagnate. Tornerà a prelevarci nel pomeriggio, ma intanto dobbiamo risolvere un dilemma: quale dei due sentieri che aggirano il promontorio, uno dal versante destro e l’altro dal versante sinistro, è il migliore? Il tassista non ci giura, ma pensa che sia quello di sinistra (come indica il pieghevole) perché su questo versante, più esposto al sole, sono ancora coltivati vari appezzamenti di terreno ed è più facile che il percorso sia ben tenuto. Gli diamo retta e ci avviamo, costeggiando qualche recinzione di filo spinato e sfiorando curiosi monoliti di arenaria. Nessun intoppo, però non si può dire che qui ci passi tanta gente. Di certo si tratta di un sentiero ad uso dei contadini e degli asini, come testimoniano via via un abbeveratoio e alcuni ricoveri in pietra. E poi si individuano chiaramente i muretti a secco e gli imbocchi dei fondi agricoli, uliveti e vigneti terrazzati verso il mare: alcuni sono curati come un tempo e lasciano immaginare la bellezza dei pendii dell’isola quando il suo pregiato vino Ansonaco era una risorsa da esportazione e il turismo non aveva ancora soppiantato le attività tradizionali. In più il sentiero si mantiene in quota, spalancando viste aeree sul campeggio e su Giglio Campese, su Punta Faraglione e sul cono di Montecristo.

In lontananza il faro di Punta del Fenaio
In lontananza il faro di Punta del Fenaio

Il faro invece compare per ultimo al fondo di una discesa, da un piccolo belvedere dove sbuca anche il sentiero di destra. Per il rientro si può scegliere se tornare sui propri passi o tentare l’altra via, come facciamo noi non senza qualche controindicazione. Da questo versante, infatti, i panorami con l’Elba all’orizzonte sono appaganti ma il sentiero si rivela più lungo e impegnativo, finché a mezza strada si immette sulla comoda mulattiera che riporta ai parcheggi delle pinete. Qui troviamo un viavai di furgoncini e di persone intente alla vendemmia: c’è allegria nell’aria, perché l’annata è buona e i grappoli d’uva, turgidi e dorati, promettono abbondanza. Puntuale arriva anche il tassista, scambia saluti con i presenti che lo conoscono e ci riporta al camper.

 

Ritorno in continente

L'arrivo in traghetto da Porto Santo Stefano
L’arrivo in traghetto da Porto Santo Stefano

Ultimo giorno, bisogna chiudere in bellezza. Il traghetto parte alle 17.30 e il campeggio ci ospita fino alle 12: dunque possiamo concederci un paio d’ore di relax sulla grande e levigata scogliera che sta alla base delle piazzole per poi spostarci con il camper a Giglio Castello, visitare il borgo e pranzare in uno dei localini all’interno delle mura.
Nel pomeriggio basta essere a Giglio Porto mezz’ora prima dell’imbarco. Si salpa che c’è ancora luce, ma una volta a Porto Santo Stefano occorre prepararsi per la sera. Noi che frequentiamo spesso Orbetello, a 10 chilometri dal porto, amiamo farvi tappa nella bella area di sosta comunale prossima al centro storico. Ma nel ricco comprensorio dell’Argentario sono possibili anche altri programmi, due almeno dirigendosi verso Porto Ercole: chi non conosce la cittadina può approfittarne sistemandosi per la notte nel grande e ben indicato parcheggio esterno, da dove spostarsi a piedi, mentre chi preferisce l’isolamento nella natura può fermarsi un paio di chilometri prima nell’area attrezzata Le Miniere, che è strategica per trascorrere una giornata sulla spiaggia della Feniglia o per pedalare nella pineta.
Che ne dite, ci fermiamo qui? Tanto, se continuiamo a raccontare in giro quello che si riesce a fare e a vedere in cinque o sei giorni con l’appoggio di un camper, rischiamo che qualcuno non ci creda…

 

 

 

 

 

 

 

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