Antologia gaelica

Croeso i Cymru, benvenuti in Galles: una terra dalle molte sorprese dove la storia di ieri si racconta fra castelli e abbazie, e quella di oggi fra miniere e campi da rugby.

Indice dell'itinerario

Nessun colore potrebbe essere più appropriato dei tre utilizzati dai gallesi per la loro bandiera: sullo sfondo bianco-verde spicca un dragone rosso, simbolo di un popolo fiero e combattivo ma anche socievole (non per niente il nome gaelico Cymru significa “terra degli amici”), amante del canto e delle bevute di birra in compagnia. Il verde nelle sue infinite gradazioni è quello dei prati, delle foreste, dei campi coltivati. Il bianco è il cielo, molto spesso coperto di alte nubi tra le quali la luce filtra con giochi ed effetti particolari. Il rosso è il colore della terra brulla delle colline pomposamente chiamate Black Mountains, nel parco nazionale di Brecon Beacons.
Per lungo tempo il Galles, nonostante il fascino mai monotono dei suoi paesaggi, è rimasto immeritatamente ai margini del flusso turistico. La sua riscoperta è recente e parte da Cardiff, la più giovane capitale europea (è stata la regina Elisabetta ad assegnare il titolo alla città nel 1955): gli abitanti tengono enormemente a questo primato, come dimostrano i continui sforzi per abbellirla e modernizzarla. E con una vera particolarità, perché se in qualsiasi luogo al mondo il centro è segnato da una chiesa, un palazzo o una fortezza, qui è invece… il Millennium Stadium. Costruito nel 1999 in occasione dei mondiali di rugby, che qui è più di una religione, questo grandioso campo sportivo è aperto alle visite come ogni meta d’interesse che si rispetti: negli spogliatoi si è accolti dalle sagome in grandezza naturale dei Dragons, i rugbisti con la maglia rossa della nazionale (freschi dominatori del Torneo delle Sei Nazioni); poi si percorre il tunnel fino al terreno di gioco, per un emozionante colpo d’occhio sull’ardita architettura delle gradinate che si levano quasi verticali, e infine si sale alle tribune d’onore, dove una copia della Coppa del Mondo di Rugby è a disposizione di chi vuole farsi fotografare con in mano un sogno.
A poche centinaia di metri sorge il castello, la cui sagoma squadrata rivela l’origine romana nonostante gli innumerevoli rimaneggiamenti dei secoli successivi, mentre all’interno del complesso spicca solitaria in un grande prato la fortezza normanna del Keep. Una ripidissima scala conduce alla sommità da cui si gode un’ampia vista sulla città e soprattutto sul Bute Park voluto nella seconda metà dell’Ottocento dal marchese John Bute, appartenente alla casata più in vista di Cardiff: l’architetto William Burges progettò questa favolosa residenza dove ogni ambiente, arredato senza badare a spese, si ispira a un tema specifico, dall’antichità al Medio Oriente alla storia locale.
Usciti dal castello e continuando a seguirne le mura, in breve si intravvedono le bianche sagome del palazzo di giustizia, della City Hall e dell’interessantissimo National Museum, che illustra le variegate vicende gallesi (oltre a conservare una buona collezione di pittura francese del XIX secolo). Ma il riscoperto cuore pulsante della città è il quartiere della Cardiff Bay: fino all’avvento del petrolio era il carbone a muovere il mondo ed era Cardiff a muovere il carbone come primo porto commerciale del combustibile; dopo la Seconda Guerra Mondiale fu però inevitabile il declino. Una ad una, le immense gru sull’estuario del fiume Severn si fermarono, la crisi economica e sociale travolse il paese e la baia divenne ben presto un’area profondamente degradata. Toccato il fondo, da qui è partita la riscossa: oggi Cardiff Bay ospita il Parlamento gallese, il miglior hotel della regione, un waterfront lungo il quale si susseguono decine di ristoranti e locali alla moda, il museo interattivo Techniquest, il planetario e il Visitors’ Centre, una singolare costruzione ellittica dove sono in mostra tutti i progetti che hanno portato alla rinascita del quartiere, tra cui un ardito sistema di sbarramenti che mantengono la baia sempre colma d’acqua frenando l’azione delle altissime maree.
Nei sobborghi, a Saint Fagans, un’ottima introduzione alle prossime tappe dell’itinerario e alle vicende locali del passato è il museo etnografico Amgueddfa Werin Cymru, dove sono state trasportate abitazioni da tutto il paese e sono esposti numerosi oggetti e utensili della vita quotidiana.Cultura di seconda mano
Lasciata Cardiff, procediamo verso nord-ovest con l’autostrada M4 entrando nella regione del Carmarthenshire. Sfiorata la città portuale di Swansea (un’altra delle mete di rigore per gli appassionati del rugby) e proseguendo sulla A48 in direzione di Carmarthen, circa 7 chilometri dopo la rotatoria di Cross Hands si incontra il bivio per Nantgaredig e il Gard Fotaneg Genedlaethol Cymru, un immenso giardino botanico dove sorge la più grande serra d’Europa disegnata da Norman Foster. Il complesso del National Botanic Garden of Wales si trova in posizione isolata nel paesaggio ondulato della ex tenuta Paxton: vale la pena fare una passeggiata alla Paxton Tower, la cui sagoma triangolare che ricorda una casa degli spettri si apprezza al meglio quando il tempo è piovoso.
Dalla cittadina di Carmarthen, capoluogo della contea, si comincia a salire verso la costa atlantica della baia di Cardigan. La strada più bella (anche se più lunga) è la A485 che costeggia la Brecha Forest, meta di numerosi escursionisti; arrivati a Lampeter, conviene deviare per Aberaeron dove si imbocca la splendida strada costiera in direzione di Aberystwyth. In gaelico, l’impronunciabile lingua locale che viene strenuamente difesa dalla preponderanza dell’inglese, aber è il termine che indica la foce di un fiume e sono molte le località il cui nome inizia così (proprio come llan, di cui è evidente l’assonanza con lo scozzese clan).
Aberystwyth è una piccola metropoli con tanto di università, una chiesa antica, un bel lungomare e una ferrovia turistica da non perdere: la Vale of Reidhol Steam Railway, antico trenino dei taglialegna che porta fino a Devil’s Bridge e alle cascate del Reidhol.
Facciamo nuovamente rotta nell’entroterra prendendo la A44, che attraversa la foresta di Ystwyth, e poi la A470. Una breve deviazione ci aprirà le porte della capitale del libro usato: Hay-on-Wye era un paesetto avviato a un inarrestabile declino se non fosse stato per Richard Booth, un signore oggi vicino alla settantina, che nel 1962 aprì la prima libreria specializzata in volumi di seconda mano. Oggi questo grazioso centro sulle rive del Wye è un crocevia mondiale di libri di tutte le lingue ed epoche, miliardi di pagine che occupano gli oltre 40 chilometri di scaffalature delle librerie cittadine – ognuna dedicata a un genere particolare – allineate a decine lungo la strada principale e nei dintorni, al punto da aver sostituito altri vecchi negozi come accade in genere per i fast food. Ma siamo ben lontani dagli scintillanti megastore dove l’ultimo bestseller dello scrittore di moda troneggia in alte pile vicino alle casse: la luce è quella fioca delle lampade a incandescenza, l’odore quello della carta polverosa e talvolta ammuffita, e i passi fanno scricchiolare i pavimenti di legno di questi piccoli templi della cultura di ogni parte del pianeta. Su tutto domina il castello, oggi residenza dello stesso Booth, acquistato naturalmente con i lauti proventi del suo commercio: e anche qui troviamo, al pianterreno e nel cortile, una libreria che forse è la più originale di tutte, perché i volumi sono esposti sugli scaffali a disposizione degli acquirenti che depositano in una cassettina metallica 30 penny per quelli con copertina leggera e 50 per quelli rilegati.Una vita in miniera
Per chiudere il nostro anello ridiscendendo verso l’estuario del Severn dobbiamo attraversare le Black Mountains, dove il paesaggio cambia improvvisamente e la terra si scurisce, in contrasto con il verde intenso dei boschi e dei pascoli. A Blaenavon si trova la miniera di Big Pit, che era una delle principali riserve di carbone del Regno Unito: un luogo quasi surreale, assolutamente brullo, dove il cielo grigio e minaccioso come non di rado accade da queste parti incombe su una distesa di pietre rossastre. La visita inizia con il secco sferragliare della gabbia del montacarichi, che scende ai 90 metri di profondità delle gallerie mentre gli occhi faticano ad abituarsi all’oscurità, spezzata solo dalla luce della lampada ad acetilene. La guida è un ex minatore, uno di quegli uomini che hanno trascorso una vita nelle profondità del sottosuolo: negli anni Ottanta, quando era ormai crollata la richiesta e l’estrazione era antieconomica per le finanze reali, gli stessi minatori – dopo una serie di pesanti e infruttuose lotte sindacali – affrontarono la chiusura della miniera costituendo una società che gestisse l’attività turistica. Chi meglio di coloro che quotidianamente avevano vinto la paura, il pericolo, la fatica avrebbe potuto spiegare cosa vuol dire lavorare quaggiù? E quando, a metà del giro, ci fermiamo in una galleria e proviamo a spegnere le deboli luci, il buio che ci avvolge per qualche decina di secondi è totale e paralizzante, con il solo accompagnamento del respiro e del battito del cuore amplificato dalla suggestione. Poi la voce della guida inizia a narrare di quei tempi in cui migliaia di bambini cominciavano a lavorare in miniera, non pagati, a cinque anni: il loro compito, per 16 ore al giorno, era quello di aprire e chiudere le porte di ventilazione forzata. E il brivido che ci corre per la schiena non è solo per la bassa temperatura delle gallerie.
Un tè caldo nella mensa ci ristora prima di continuare il viaggio. Torniamo brevemente indietro fino ad Abergavenny per riprendere la A40 in direzione di Monmouth e la A466 che costeggia il Wye, al confine tra il Galles e l’Inghilterra. A ridosso della valle, una grande foresta prende il nome dal paese di Tintern: nel Medioevo vi sorgeva la più importante abbazia gallese, le cui imponenti rovine riescono ancora a farci capire la sua grandezza. Durante la notte i resti dello splendido edificio vengono illuminati, e la luce crea incredibili effetti tra i rosoni e la travatura di quello che fu il tetto.
Pochi chilometri a sud, Chepstow conserva un inespugnabile castello che sorveglia un’ansa del Wye. All’interno c’è un piccolo museo che racconta la storia della fortezza e delle antiche armi da guerra tra le quali spicca il longbow, il tipico arco lungo gallese dalla gittata superiore ai 300 metri; le frecce erano in grado di trapassare una porta di legno spessa 15 centimetri a 20 metri di distanza. E qui si scopre anche l’origine del famoso segno di vittoria con le dita a V, che in realtà deriva dal gesto di sfida che i gallesi rivolgevano ai nemici inglesi mostrando loro appunto le due dita con cui tendevano la corda dell’arco. Non per niente, la prima cosa che gli inglesi facevano quando catturavano un soldato gallese era quella di mozzargli un dito in modo che non potesse più incoccare la freccia.
L’ultima tappa, ormai quasi al termine del nostro itinerario, ci porta nei dintorni di Newport per scoprire un piccolo mistero della genealogia. Tredegar House, una nobile residenza campagnola del XVII secolo oggi divenuta di proprietà pubblica e finemente restaurata, appartenne alla famiglia dei Morgan forse imparentati con il famoso pirata Henry John: nato proprio in questa regione nel 1635, intorno ai vent’anni già lo troviamo nelle Indie Orientali a saccheggiare navi e città costiere, dando inizio a una carriera che in tre lustri lo avrebbe portato – sotto l’egida del Commonwealth, e di fatto in qualità di agente della Corona – a farsi la nomea di feroce corsaro oltre che ad aprire nuove rotte commerciali per l’economia britannica. Ma il legame del bucaniere con la casata non è certo e non ve n’è traccia nell’antico edificio; la visita guidata, in compenso, illustra la vita quotidiana dei nobili nei secoli passati e le stranezze di alcuni membri della famiglia, tra cui una dama che credeva di essere un uccellino.
Con questi singolari incontri si chiude il nostro giro nel Galles del Sud: ci aspetta di nuovo l’autostrada M4, che questa volta imboccheremo nella direzione opposta verso l’Inghilterra e Londra. …”.

PleinAir 394 – maggio 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio