Antico Confine 1

Cosa ci fanno centinaia di cippi in pietra disseminati lungo creste montuose e valli dal Tirreno all'Adriatico, su un percorso di oltre 300 chilometri che attraversa da sud a nord il centro dello Stivale? Questa domanda ha ispirato un ciclo di tre servizi in cui invitiamo i lettori a ripercorrere, con i modi e i mezzi del turismo all'aria aperta, il tracciato del confine che sino a centocinquant'anni fa divideva lo Stato Pontificio dal Regno delle Due Sicilie. Quelle colonnette di pietra, incise da un lato con le chiavi di San Pietro e dall'altro con il giglio borbonico, ne sono oggi la testimonianza più evidente: un simbolo della nostra storia da far conoscere e da salvaguardare, specialmente in occasione del 150° anniversario dell'Unità nazionale.

Indice dell'itinerario

Comincia il confine dal punto dove il canale di Canneto mette foce nel Mar Tirreno, e radendo la sponda destra occidentale del canale medesimo giunge al lago di Fondi.. Così inizia l’articolo 16 del trattato sul nuovo confine tra Stato Pontificio e Regno delle due Sicilie, siglato a Roma il 26 settembre 1840. A seguito dell’accordo, lungo l’intero percorso vennero sistemate, ad intervalli più o meno regolari, 686 colonnine siglate con un numero progressivo e con la data. Oggi ne rimangono in situ più della metà, a volte in bella vista, in altri casi seminascoste dalla vegetazione: incontrarle durante una passeggiata è come fare un salto indietro nel tempo, all’epoca in cui l’idea di un’Italia unita cominciava a prendere corpo nelle vicende storiche e politiche. Dall’odierno Basso Lazio il limite continuava verso i Monti Aurunci e la piana del Liri e del Sacco, per poi incontrare le vette degli Ernici nei pressi di Sora, quindi voltava verso Campo Catino e andava a seguire il fil di cresta che da Monte Ortara procede verso la mole massiccia del Monte Crepacuore. Da qui perdeva quota per risalire subito le ripide pendici del Monte Viglio e, raggiunta la Serra Sant’Antonio sopra Filettino, proseguiva diritto incontro al Monte Viperella, dove effettuava una dolce curva per raccordarsi con la panoramica cresta che porta al Monte Ceraso, nella zona oggi dominata dagli impianti sciistici di Campo Staffi. Dopo la discesa in direzione di Cesa Cotta, nel territorio di Cappadocia, il tracciato si infilava nella stretta gola del Fosso Fioio, da dove riemergeva ormai a ridosso di Camerata. Faceva quindi un ampio giro intorno al territorio di Rocca di Botte, nell’odierno Abruzzo, rasentando i ruderi del castello della Prugna sopra Arsoli e dirigendosi in lenta discesa verso Oricola e la piana del Cavaliere, incontro alla Sabina. Divideva così i territori di Riofreddo, Vallinfreda, Vivaro e Collalto Sabino, pontifici, dai paesi del Regno di Pereto e Carsoli. Lasciato quasi subito il fiume Turano, continuava verso l’altro importante bacino della zona, il Salto, per tenere la direzione di Rieti separando l’attuale capoluogo sabino da Cittaducale prima di voltare a nord-est. Abbandonato così il gruppo del Terminillo al Regno delle Due Sicilie, scalava i Monti della Laga (uno dei nostri cippi si trova sulla Macera della Morte) e quindi imboccava la valle del Tronto fino all’Adriatico, per spartire i territori abruzzesi da quelli delle Marche. Tutto questo complesso e tortuoso tragitto era segnalato dalle colonnette che da Terracina, dove si trovava la numero 1, scandivano il confine sino al ponte di barche di Porto d’Ascoli, nei pressi del quale fu situata la colonnina numero 649 (alcune di queste avevano lo stesso numero, seguito da una lettera dell’alfabeto). Considerando che il percorso superava i 300 chilometri, c’era in media un cippo ogni 500 metri: un’impresa a dir poco titanica sia dal punto di vista operativo sia, soprattutto, da quello organizzativo, considerando anche i mezzi dell’epoca. Soltanto nel 1847, la data che ancor oggi possiamo vedere scolpita su gran parte dei cippi superstiti, la loro sistemazione – affidata alle singole comunità locali – venne in buona parte completata. Ma il confine non ebbe vita molto lunga: poco più di dieci anni. Il 15 ottobre 1860 le truppe piemontesi varcarono il Tronto, penetrando nel territorio delle Due Sicilie e sancendo la caduta della frontiera. Il 17 marzo 1861, a Torino, venne proclamato il Regno d’Italia. Del più che millenario Stato Pontificio rimaneva ancora soltanto un brandello, per quanto ampio: le province laziali e Roma, che caddero nelle mani dei piemontesi soltanto dieci anni dopo con la breccia di Porta Pia. A spasso nel tempo Quello che vi proponiamo in queste pagine è un viaggio a ritroso di un secolo e mezzo tra storia e natura. Certo, è possibile ipotizzare un lungo trekking che da Terracina, seguendo il confine, arrivi alla foce del Tronto: ma le difficoltà logistiche sarebbero veramente notevoli e l’impresa resterebbe alla sola portata di escursionisti di grande esperienza e dall’ottima preparazione sportiva. Abbiamo perciò preferito ideare qualcosa di più semplice ma non meno interessante, che i buoni camminatori (non necessariamente esperti) potranno mettere in calendario per le prossime uscite. Se si escludono alcuni tratti di pianura in cui lo sviluppo delle attività umane ha reso irriconoscibile il territorio, gran parte del confine percorre aree di grande richiamo ambientale e paesaggistico. La presenza dei cippi e la loro ricerca aggiungono fascino e curiosità a passeggiate ed escursioni di grande valore, mentre la visita ai molti paesi e monumenti delle località vicine regala ulteriori opportunità per viaggi di più giorni o semplici finesettimana en plein air. Occorre poi ricordare che buona parte del limite fra Stato Pontificio e Regno delle Due Sicilie è oggi ricalcata da quello tra diverse regioni, e che è possibile raggiungere i siti dove sono collocati i cippi da due diversi versanti. Naturalmente, abbiamo dovuto operare una scelta difficile ma necessaria selezionando percorsi che uniscono la spettacolarità delle vedute a un impegno non eccessivo, ma molti altri itinerari sarebbero possibili. Per questo motivo si devono considerare i sentieri qui descritti come un invito a scoprire una pagina assai significativa della nostra storia: e se, com’è capitato a molti, si verrà presi dalla passione, si potranno sfruttare numerosi strumenti cartografici e informativi per continuare il viaggio attraverso tutta l’Italia centrale. In questa prima puntata esploreremo la porzione che va da Terracina alla piana del Liri e del Sacco. E’ un territorio assai ricco di emergenze storiche e naturalistiche, a cominciare dal nuovo parco degli Ausoni nel quale si trova il tratto di confine più interessante e meglio conservato; una buona rete di sentieri consente inoltre un accesso relativamente facile alla catena montuosa, e i paesi, anche se privi di strutture dedicati alla sosta dei veicoli ricreazionali, si rivelano comunque accoglienti e privi di divieti specifici. La zona di Acquaviva (o Vallecorsa Vecchia) è stata recentemente sistemata dall’ente parco anche con aree picnic: i due cippi che sorgono vicino ai ruderi dell’antica città abbandonata regalano ulteriore suggestione a un luogo che ne ha da vendere. Nella piana del Liri e del Sacco, invece, si incontrano parecchi problemi legati allo sviluppo edilizio dei centri abitati: la bella riserva del Lago di San Giovanni Incarico offre però ai camperisti ulteriori occasioni per una sosta piacevole e tranquilla. Da Sonnino alla Cisterna Marecchia L’escursione è ambientata nell’entroterra della provincia di Latina. Il percorso, molto interessante e relativamente faticoso (il dislivello è di 300 metri), ricalca in piccola parte l’itinerario compiuto dalla processione delle Torce di Sonnino, una manifestazione popolare di grande richiamo nella zona che si svolge alla vigilia dell’Ascensione. Arrivati alla Cisterna Marecchia si trovano due cippi, ma l’interesse maggiore è dato dal fatto che da qui si gode una buona visuale sulla cresta che da Monte Romano arriva al Monte Tavanese, passando per le cime del Peschio e del Ceraso: in pratica, un lungo tratto dell’antico confine. Dalla cisterna, aggirando il Tavanese per giungere alla Serra Palombi, si può seguire il sentiero segnalato fino alla vetta del Monte delle Fate, il principale rilievo della zona, ottimo belvedere su una larga fetta del Lazio meridionale. L’ambiente attraversato è molto piacevole e tipicamente carsico, con ampi tratti rocciosi alternati a boschetti di leccio. Sonnino si raggiunge dalla A1 uscendo a Frosinone e proseguendo sulla superstrada 156 in direzione di Terracina, fino al bivio per la provinciale 72 che sale al paese; arrivando invece dalla statale 7 Appia, poco a nord di Terracina si imbocca la stessa superstrada in senso contrario. Appena prima dell’abitato, in corrispondenza di una curva, si prende una strada in ripida salita sulla sinistra e poco più avanti si parcheggia su uno sterrato adiacente a un piccolo campo sportivo, con bella vista sulla cascata di case del borgo vecchio (se si è alla guida di un mezzo non troppo ingombrante, altri spazi di sosta si trovano continuando fino a uno slargo e svoltando nettamente a sinistra su Via Monte della Pietà, anch’essa molto ripida e abbastanza stretta, che sfocia in una piazza alberata con alcuni stalli per il parcheggio). Una passeggiata di qualche centinaio di metri conduce su Via Marconi, Via San Marco e infine Via Caravigli: arrivati in fondo alla stradina, inizia l’antica mulattiera e si trovano i primi segni bianchi e rossi del CAI. Il sentiero sale sul fianco della montagna, in un ambiente piuttosto brullo, rivelando tratti sistemati con gradini di pietra e muri a secco di contenimento. In circa 20 minuti si arriva a una statua della Madonna, uno dei luoghi di raduno durante la cerimonia che precede il rito delle Torce. Poco più avanti, in corrispondenza di una sella, il percorso si divide: il ramo di destra è diretto verso i monti Peschio e Romano, ma noi prendiamo invece a sinistra, dapprima risalendo le pendici di Monte Ceraso (che avremo di fronte) e poi aggirandone la vetta a sinistra, seguendo i segni bianchi e rossi alternati a bollini rossi. Qui il tracciato procede a mezzacosta, con diversi saliscendi, entrando in una fitta macchia. Quando si raggiunge una selletta, a circa un chilometro dalla statua incontrata poc’anzi, si comincia a scendere in un fitto boschetto di lecci cedui: il sentiero volge quasi subito verso sinistra e dopo una breve salita scende in direzione di un’altra sella, uscendo dal bosco. Tra le rocce si nota il primo dei cippi di confine, sul quale è rimasto ben visibile il giglio dei Borbone. Scendendo ora verso sinistra, in breve si arriva alla Cisterna Marecchia, molto ben conservata e ancora funzionante. Si prosegue ancora in direzione della sella ai piedi del boscoso Monte Tavanese e, prestando attenzione alla nostra sinistra, in una radura circondata da arbusti si vedrà il secondo cippo, molto meglio conservato del precedente e collocato su una sorta di piedistallo. A meno di non proseguire verso Monte delle Fate, a questo punto si può tornare indietro percorrendo la stessa strada (2 ore circa fra andata e ritorno). Informazioni utili Poco lontano dal bivio che sale a Sonnino dalla superstrada, si può sostare vicino all’abbazia di Fossanova presso l’agriturismo La Pisana (Via Marittima II, tel. 0773 939054, www.agricolalapisana.it, info@agricolalapisana.it, annuale). Il Comune di Sonnino, in Piazza Garibaldi 1, risponde allo 0773 90781, www.sonnino.info. La Pro Loco si trova in Via San Francesco 24, tel. 0773 908613, assprolocosonnino@libero.it. Altre informazioni sui sentieri della zona si possono richiedere alla sezione CAI di Latina, Via Ofanto 2, tel. 0773 694879, www.cailatina.com, info@cailatina.com. Da Lenola ai ruderi di Acquaviva Dell’antica fortezza di Acquaviva e del borgo che la circondava, qualche chilometro a monte di Fondi, non restano che pochi ruderi sommersi dalla vegetazione. Il contesto ambientale e paesaggistico è però molto piacevole: già dichiarato monumento naturale dalla Regione Lazio, è oggi compreso nel neoistituito Parco Regionale dei Monti Ausoni, che ha provveduto a sistemare e attrezzare l’area. Il passaggio del confine tra il dominio papale e quello borbonico è ricordato dai cippi dal numero 47 al 50, che si incontrano lungo il cammino: il percorso è relativamente facile ma occorre prestare una certa attenzione a non perdere il sentiero, soprattutto nel lungo tratto all’interno del bosco e, successivamente, nell’avvicinamento al sito di Acquaviva. Punto di partenza è il Passo della Quercia del Monaco che si raggiunge, indifferentemente da nord e da sud, con la statale 7 Appia, lasciandola al bivio per Fondi e proseguendo per Lenola e Vallecorsa, oppure dalla A1 uscendo a Ceprano e prendendo per Vallecorsa e Lenola. In prossimità del valico, ben riconoscibile per la presenza di una sorta di monolite, uno slargo sterrato consente di parcheggiare (c’è spazio a sufficienza per due o tre camper). A piedi si imbocca lo stradello di sinistra, che passa quasi subito accanto a un cippo di confine e prosegue per meno di un chilometro sino a un abbeveratoio: il panorama su Fondi e la valle da questo punto è amplissimo. Ora il sentiero sale verso destra in direzione di una ben visibile pineta, zigzagando al suo interno in costante e impegnativa salita. Occorre prestare molta attenzione ai radi segnali per non perdere la traccia: si sbuca così in un’area disseminata di aguzze roccette ricoperte di muschio e immerse in un bel bosco misto. Si attraversa questa zona, non senza qualche difficoltà per la presenza di rovi e altri arbusti, seguendo poi la cresta fino ad uscire sulla vetta tondeggiante, dov’è collocato un altro cippo (sin qui circa un’ora di cammino). Dalla sommità un sentiero scende verso i ben visibili resti di Acquaviva: il percorso è ripido e scivoloso, specialmente dopo che è piovuto, e non è molto evidente poiché si sviluppa in una densa macchia che ne fa perdere le tracce, ma in compenso è piuttosto intuitivo. Con un po’ di pazienza, comunque, è possibile trovare la direzione esatta tenendo presente che dapprima si scende, ma quasi subito si devia verso la collina su cui sorgeva la fortezza. Usciti dal folto, in breve si è alla sella prativa da dove si risale il colle in direzione degli imponenti ruderi, che comprendono antiche mura bastionate, tre torri e alcune cisterne. Il luogo – altrimenti noto come Vallecorsa Vecchia e citato su alcune vecchie mappe come San Basilio Diruto – è davvero incantevole, con un invidiabile panorama che conferma l’originaria posizione strategica del sito. Il rientro avviene per la stessa strada (in tutto, andata e ritorno, occorrono circa 3 ore). Informazioni utili Sul percorso di avvicinamento dall’Autosole e da Vallecorsa, un punto sosta si trova a Castro dei Volsci presso il ristorante Re Artù (Via Fosso 35, Località San Sosio). Se si arriva dalla costa, invece, un possibile riferimento è l’area attrezzata al Lido di Fondi presso il ristorante Il Pomodoro (Riviera di Ulisse, Via Flacca Km 2+250, tel. 0771 57285 o 349 8605675). Risalendo verso l’Autosole si può approfondire la conoscenza della zona deviando per San Giovanni Incarico: nei pressi dell’omonimo lago e di un ristorante è stato allestito un punto sosta di piacevole ambientazione (tel. 333 5302781, iscritti Club del PleinAir 10% di sconto su sosta e ristorazione). Tutte queste strutture fungono da riferimento anche per le tre escursioni successive. Per informazioni sul Parco Naturale Regionale Monti Ausoni e Lago di Fondi si può contattare il centro visite (Via Appia Km 114+500, Monte San Biagio, tel. 0771 513644) o connettersi al sito www.parchilazio.it. Da Vallecorsa a Monte Calvo Questa piacevole e interessantissima escursione risale le propaggini dei Monti Ausoni per raggiungere la panoramica vetta del Monte Calvo (1.051 m), da cui con un piccolo sforzo ulteriore si può continuare verso la cima del Monte Calvilli (1.116 m, il più alto del gruppo). Dalla sella di Varo del Colle fino al Monte Calvo si possono osservare diversi cippi di confine, e di questi ben sei con una certa facilità. Benché segnalato dal CAI con il numero 46, il sentiero non è sempre ben visibile, soprattutto nel primo tratto che attraversa una zona di folta macchia ad ampelodesma – una comune graminacea mediterranea – che spesso nasconde i bolli di vernice bianca e rossa. Notevoli i panorami dalla parte superiore: il dislivello è di 600 metri, ma viene coperto con gradualità poiché il percorso conta in totale circa 7 chilometri tra andata e ritorno. Raggiunto il paese di Vallecorsa (stesse indicazioni stradali dell’itinerario precedente), conviene parcheggiare sulla strada principale all’ingresso dell’abitato e proseguire subito a piedi, poiché le vie del centro storico sono molto strette. Si sale in maniera intuitiva verso la parte alta del borgo, seguendo le stradine che convergono su una piazzetta da dove si imbocca Via Arelle, facilmente riconoscibile perché si tratta di una scalinata. In breve si incontra la segnaletica del CAI e, raggiunte le ultime case, si piega verso sinistra e poi subito a destra, seguendo una traccia in salita verso un gruppo di ruderi su cui svetta un traliccio con antenne. Si passa accanto a quest’ultimo e si sbuca su una strada asfaltata: qui si va brevemente a sinistra, poi a destra su una stradina cementata che poi diviene una mulattiera con muretti a secco. La traccia sale con diverse svolte tra la bassa vegetazione, costeggiando una pineta. Percorsi circa 200 metri, si incontra un bivio a destra e lo si segue iniziando a salire in direzione della cresta montana. In questo punto le tracce sono a volte poco visibili e occorre prestare attenzione: come punto di riferimento è bene tenere un casaletto in pietra circondato dagli olivi, superandolo quasi in piano. Da qui si tende a salire di nuovo, tenendo la destra con radi segni sulle pietre, e si prosegue a mezzacosta sul fianco della montagna, attraversando gruppi di alberi e con panorami via via più ampi su Vallecorsa e la sua piana, coltivata ancora oggi con il tradizionale metodo dei terrazzamenti. Si arriva così a un lungo muro a secco e lo si supera dirigendosi sul costone della montagna, da cui il panorama si apre ulteriormente verso Frosinone. Dopo essersi tenuti leggermente a destra, il sentiero si fa più evidente e continua a mezzacosta, in costante ma dolce salita, fino alla sella di Varo del Colle. Si prosegue scendendo in una valletta in direzione del ben visibile Monte Calvo, le cui pendici sono ricoperte da piante di salvia, come quasi tutta la zona: prima, però, conviene risalire brevemente a destra per raggiungere il cippo di confine numero 71, abbattuto e collocato in una raduretta circondata dalla macchia. Ripreso il tracciato, si scende di poco e poi si gira a destra in modo da raggiungere un altro cippo, questa volta in piedi, di fronte al panorama degli Aurunci. Da qui si svolta a sinistra per superare la collina antistante e, affacciandosi sulla valletta, verso destra si vedrà l’ennesimo cippo caduto al suolo, che si può facilmente raggiungere. Ma la ricerca non è ancora terminata: seguendo le tracce o il sentiero CAI si raggiunge la vicina vetta del Monte Calvo, dove la colonnetta numero 76 si presenta in ottime condizioni e sembra quasi volersi porre a sigillo del magnifico panorama. Su una vetta vicina si vedrà un altro cippo, raggiunto il quale se ne scorge un sesto collocato su una sella poco più in basso e su cui sono stati dipinti i segnali bianchi e rossi del sentiero per il Monte Calvilli. Il rientro avviene per la stessa strada (in tutto circa 3 ore per l’andata e 2 ore per il ritorno). Informazioni utili Il Comune di Vallecorsa, in Piazza Vittime Civili di Guerra, risponde allo 0775 679017, www.comune.vallecorsa.fr.it, vallecorsa@libero.it. La Pro Loco si può contattare al 347 7075283, viva.forum@libero.it. Altre notizie sui sentieri della zona si possono richiedere alla sezione CAI di Cassino, Via degli Eroi, tel. 0776 311418, www.caicassino.net. Da Forcella Buana a Monte Calvo e Monte Latiglia La Forcella Buana mette in comunicazione, grazie a una sterrata, il versante pontino degli Ausoni con quello ciociaro, quindi i territori pontifici con quelli borbonici. Di qui passava infatti l’antico confine, come testimoniato dalla presenza dei cippi numero 41, 42 e 44 (il 43 risulta introvabile). Le due brevi escursioni per le vicine vette del Monte Latiglia e del Monte Calvo sono interessanti anche per i grandiosi panorami, che svelano una buona parte del tratto iniziale del confine. Emergono tra le cime il Monte delle Fate da un lato, i già visti ruderi di Acquaviva e la Cima del Monte dall’altro. Da Vallecorsa si segue la strada che sfiora il cimitero e conduce a Forcella Buana, su fondo asfaltato non sempre in buone condizioni (in alternativa si può parcheggiare in paese, come indicato nell’escursione precedente). Poco prima che la strada diventi sterrata, in corrispondenza di uno slargo a una curva, si parcheggia e si continua per circa un chilometro in salita sino alla Forcella dove si trova il cippo numero 42, rimesso in piedi nel 2004 a cura dell’associazione A.Ri.S. Iniziando a salire si vede sulla destra il Monte Calvo, raggiungibile seguendo la strada bianca sulla destra che passa alla base della montagna, in leggera salita. Il percorso aggira la vetta con una decisa curva a sinistra e poco dopo svolta nettamente a destra, dove si nota una cisterna in pietra; proseguendo sulla sterrata e tenendo la sinistra si arriva alla sommità su un percorso abbastanza comodo, ma lungo e monotono. Chi preferisce un pizzico di avventura in più prenderà invece la traccia che si stacca sulla sinistra all’altezza della cisterna e risale il monte a mezzacosta, senza segni ma abbastanza evidente. Attraverso la macchia si sale fino ad alcuni grandi aceri secolari, a ridosso di una parete di roccia dove sono evidenti gli accessi a due grotte: una è chiusa da una cancellata, l’altra, molto piccola, è liberamente accessibile. Proseguendo, si giunge a un notevole belvedere poco sotto la parte sommitale del monte. A questo punto, un po’ a senso si segue la cresta, in parte coperta di macchia, con un percorso faticoso ma non molto lungo, sino ad avvistare i resti di un impianto di telecomunicazioni: pochi metri più avanti ecco il cippo 41, piuttosto malridotto. Si rientra per la stessa via (in tutto occorrono circa 2 ore e mezzo) oppure si prosegue andando a imboccare la strada bianca che disegna una specie di anello ricollegandosi al punto di partenza. Tornati a Forcella Buana, per raggiungere il Monte Latiglia si prende a sinistra, seguendo i bolli CAI su un masso per i sentieri numero 48, 40 e 38, e si mantiene questa direzione avendo come riferimento una recinzione in filo spinato. I bolli tendono a perdersi, ma sempre seguendo la recinzione si arriva in breve alla cresta, che si prende verso destra sino ad arrivare a una piccola radura dove si trova, abbattuto, il cippo 44. Da questo punto è ben visibile il prosieguo della cresta, che scende nettamente arrivando poi a un salto di livello alla cui base si notano i resti di Acquaviva (andata e ritorno, sulla stessa strada, in un’ora e mezzo circa). Informazioni utili Il riferimento per maggiori dettagli sui sentieri è la sezione CAI di Esperia, Piazza Guglielmo, tel. 347 8284175, www.caiesperia.it, segreteria@caiesperia.it. Santa Maria delle Macchie Con quest’ultima escursione, la più facile di questa puntata, ci spostiamo verso sud-est in direzione della valle del Liri, per poi scendere in prossimità di Pastena (località del Frusinate conosciuta soprattutto per il richiamo turistico del suo sistema di grotte). La chiesetta di Santa Maria delle Macchie, tra Pastena e Falvaterra, è posta proprio lungo il filo conduttore della nostra esplorazione che qui si affaccia su una valle verdissima e fittamente coltivata, dall’aspetto molto piacevole grazie alla mancanza di un’edilizia invasiva. Sullo sfondo, in direzione del mare, la catena degli Ausoni con il Monte Calvilli e la cresta delle montagne di Vallecorsa. Di forma ottagonale, il piccolo edificio sacro risale ai primi anni del XVIII secolo, anche se le sue origini sono presumibilmente più antiche, ed è il punto di partenza ideale per due brevi passeggiate di modestissimo impegno verso due cippi confinari (e se non fosse per la folta macchia e l’assenza di sentieri ben delineati, molte altre sarebbero le escursioni da sperimentare nel circondario). Dal piazzale antistante, con fondo sterrato, si attraversa la strada e si prende la sterrata che si trova sulla sinistra andando verso Pastena. Si continua in dolce salita parallelamente alla carrabile moderna, ma più in alto, attraverso un tratto di vegetazione segnata da incendi, fino a una sella riconoscibile per la presenza di una piccola cava. Il percorso del confine prosegue verso destra nella folta macchia, in direzione dei ruderi di un casale, per poi perdersi nel bosco che ricopre il Monte La Finocchiara; si va invece a sinistra, per tracce, risalendo brevemente il brullo Monte Spallato sulla cui cima si trova, abbattuto e in cattivo stato di conservazione, il cippo numero 115 (andata e ritorno in 40 minuti circa). Tornati al piazzale, si prende ora la sterrata in salita, chiusa da una sbarra, che risale il Monte Quarticelli passando vicino a un pilone dell’alta tensione. Si prosegue fino a giungere in prossimità di una sella: qui la strada curva a destra superando una recinzione, mentre poco prima si svolta a sinistra, per labili tracce tra i falaschi, in direzione dell’evidente cima della montagna riconoscibile anche per la presenza di alcuni pini. In pochi minuti si arriva al punto in cui si trova, praticamente sommerso dalla vegetazione ma in piedi, il cippo numero 112, in discreto stato di conservazione e con evidenti tracce di restauro (andata e ritorno in mezz’ora circa). Informazioni utili Anche per quest’ultima tappa ci si può servire delle aree di Fondi, Castro dei Volsci e San Giovanni Incarico. Proseguendo invece al di là dell’autostrada, sempre lungo il corso del Liri, un’altra opportunità è offerta dall’area attrezzata comunale di Strangolagalli, in Via Roma. Il Comune di Pastena è sito in Piazza Municipio, tel. 0776 546531, www.comune.pastena.fr.it info@comune.pastena.fr.it. L’ufficio turistico si trova nella stessa piazza, è aperto dalle 9 alle 14 e risponde allo 0776 545011. La Pro Loco è in Via Trento 4, tel. 0776 546024. Per informazioni sulle Grotte di Pastena, aperte tutto l’anno, collegarsi al sito www.grottepastena.it

Testo e foto di Marco Scataglini

PleinAir 462 – gennaio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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