Altro che letargo

Inverno a casa? Macché: liberi da impegni di lavoro grazie alla pensione, questa volta i nostri cronisti fanno rotta verso gli antipodi per una lunga vacanza fai da te nell'estate australiana. Ed ecco la prima puntata di questa grande avventura che dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, quanto la riuscita di un viaggio sia una questione di feeling.

Indice dell'itinerario

Svernare nei mari del sud, il sogno di una vita. Ci siamo finalmente riusciti, o quasi: al ritorno faceva ancora freddo. Un lungo grande viaggio nel quale le abbiamo sperimentate tutte: in ordine alfabetico, aereo, auto, barca a vela, bus, camper, fuoristrada, houseboat e treno. «Beati voi» continuavano a ripeterci. E io: «Ma la vedete la barba bianca? Queste cose si possono fare da pensionati. E tali noi siamo. Noi due e i vecchi amici che ci accompagnano».
E’ l’8 dicembre quando sbarchiamo a Brisbane, dove ci attendono Maria Cristina, una cugina di Ivana di remote origini abruzzesi, e suo marito Peter, australiano da cinque generazioni, uomo di mare e più precisamente velista di livello internazionale, che ci permetterà di rendere unica la prima parte del nostro itinerario.

Un Natale dell’altro mondo
Avevamo già vissuto il paradosso del Natale celebrato agli antipodi, e quindi in piena estate, durante un viaggio in Argentina, dove però non vengono approntati addobbi e luminarie e al massimo le vetrine si riempiono di ovatta e polistirolo per simulare la neve. In Australia, invece, e in particolare nel Queensland, il Natale è un affar serio per il quale i fedeli cominciano a prepararsi anche prima che da noi. A Brisbane c’è una gara fra le chiese di quartiere: vince chi crea la più fantasiosa illuminazione esterna. Per tutto il mese di dicembre le vie del centro risuonano di musica dal vivo e la figura di Babbo Natale (pupazzo o in carne e ossa) è onnipresente, mentre di presepi se ne incontrano davvero pochi.
Ad ogni modo, temperature a parte, fino a qui non ci sembra di essere così lontani da casa, ma ci basta arrivare sulla spiaggia per cambiare idea. Quei ridicoli cappellini rossi bordati di pelliccia bianca, che in questo periodo spopolano in anche da noi, li ritroviamo in testa ai ragazzotti che sguazzano tra le onde. Speriamo almeno che la pelliccia sia finta, e ci spostiamo in un campeggio dove le caravan stanziali ostentano filari di lampadine multicolori: ma invece di evocare atmosfere natalizie, tutto ciò fa pensare a una specie di Carnevale fuori tempo. In realtà non si può parlare di uno stravolgimento del folklore altrui, perché la stragrande maggioranza degli australiani ha radici europee e quindi il Natale se l’è portato al seguito, quasi a mantenere un simbolico legame con la madrepatria. Saranno casomai gli aborigeni a chiedersi il significato di tutta questa parata.
Ma c’è una novità: mi fanno sapere che in città hanno cominciato a festeggiare una sorta di secondo Natale nel mese di luglio – quando lì è pieno inverno – con tavola imbandita, scambio di doni e chissà, magari anche sfoggio dei soliti cappellini per rievocare la giusta cornice. L’iniziativa, partita da un piccolo gruppo di famiglie, ha avuto successo e si va espandendo a macchia d’olio.
Comunque sia, ora siamo qui e anche se circondati dall’atmosfera estiva si tratta di un’esperienza tutta da vivere; oltretutto, le vacanze di Natale in Oceania offrono numerosi spunti per un’interessante ricerca. A cominciare proprio da Brisbane, una capitale attrezzata nel migliore dei modi per accogliere i visitatori. Per prima cosa si raggiunge Mount Coot-tha, il suo punto più alto, il cui nome deriva da ku-ta, il miele che gli aborigeni raccoglievano proprio qui: a loro è dedicato l’Aboriginal Art Trail, un sentiero lungo circa un paio di chilometri che attraversa la Mount Coot-tha Reserve, un grande parco con aree da picnic e sentieri escursionistici. La cosiddetta montagna non supera i 244 metri, ma dal belvedere si può ammirare la selva di grattacieli del CBD, il Central Business District. Ai suoi piedi, invece, si delinea inconfondibile l’edificio del Sir Thomas Brisbane Planetarium, il più grande planetario d’Australia, alle cui spalle si trova l’ingresso dei giardini botanici, tanto vasti (ben 52 ettari) da richiedere diverse ore per una visita completa: dovendo necessariamente fare una scelta, da non perdere l’angolo delle specie profumate, dove è concesso toccare le piante e annusarne la fragranza. Subito all’esterno e proprio di fronte al planetario, un altro Aboriginal Trail intende recuperare un antico percorso nei luoghi in cui i nativi si procuravano il cibo.
Tornati in basso, si percorre a piedi la City in una mescolanza di edifici storici miracolosamente sopravvissuti in mezzo ai grattacieli, come la Saint John’s Cathedral e un restaurato mulino a vento che, risalendo al 1828, risulta essere il più antico di tutto lo stato. Poi ci si imbarca sul City Cat, un battello che fa su e giù per il fiume rivelandosi assai comodo, perché una volta in possesso del biglietto si può salire e scendere a volontà. Dal Brisbane River i grattacieli appaiono in una nuova prospettiva, ma soprattutto si possono visitare i musei schierati sulla stessa sponda: primo fra tutti il Queensland Museum dove, fra scienza e tecnica, si apprende ogni cosa sulle origini del continente, si apprezza una visione d’insieme della flora e della fauna e ci si stupisce alle storie di navigatori. Poco lontano le gallerie d’arte, fra cui soprattutto il Queensland Performing Art Center, dove i più fortunati s’imbattono in curiose installazioni estemporanee. Come è capitato a chi scrive: all’Asia-Pacific Triennal of Contemporary Art una casetta in legno montata su un pulmino finestrato sembrava proprio voler prendere in giro il camperista in visita.
Proseguendo lungo la riva del fiume in direzione del Queensland Maritime Museum, dove tra l’altro si può visitare la HMAS Diamantina, una fregata della Seconda Guerra Mondiale, si attraversa il polmone verde più antico della città. I City Botanic Gardens racchiudono i vari aspetti della vegetazione locale, dagli immensi alberi solitari fino alle mangrovie, visibili dall’alto grazie a una passerella che corre sull’acqua. Qui si viene in bicicletta, si fa jogging, ci si riposa sulle panchine; gli impiegati in pausa pranzo si portano il panino e addirittura chi non ha tempo per andare al mare trova una spiaggia urbana con vasche di varia profondità, tra cui una con appena un velo d’acqua e tanti spruzzi, vera gioia per i bambini piccolissimi che si divertono e prendono confidenza con l’elemento.
Per chi vuole vincere la calura natalizia con un tuffo nell’oceano, la soluzione urbana è forse più pratica che raggiungere la costa. Brisbane, come tutte le grandi città australiane, è spalmata per chilometri e chilometri attorno al centro con quartieri di villette unifamiliari circondate dal verde, e se per visitare la City basta il mezzo pubblico, per i dintorni è necessario noleggiare un’auto, appoggiandosi poi ai motel o ai campeggi che spesso hanno qualche cabin (qui non si chiama bungalow) libero. Ma scopriamo che non ci si può contare troppo, perché fra dicembre e gennaio ci sono naturalmente le vacanze di Natale, che anche qui coincidono con le ferie scolastiche: il risultato è come essere da noi a Ferragosto, o anche peggio. Il cartello no vacancies annuncia il tutto esaurito e ci perseguita da una struttura all’altra, e allora è quasi ovvio procurarsi un camper.
A sud della città, la cosiddetta Gold Coast è una selva di grattacieli che sembrano costruiti direttamente sulla sabbia. Ma in faccia a Brisbane, a chiudere la Moreton Bay, ci sono un paio di grandi isole facilmente raggiungibili con il traghetto. Sulla North Stradbroke Island si può circolare liberamente in auto, mentre per accedere alla Moreton Island, dopo aver prenotato l’ingresso pagando il dovuto, è necessario un fuoristrada: in caso contrario, si deve lasciare il proprio veicolo all’imbarco e procedere a piedi. Su quest’isola, il cui territorio è quasi interamente parco nazionale, si trova una lunghissima spiaggia rivolta verso la baia che permette di nuotare in tranquillità, a differenza di quelle rivolte verso l’oceano, che conoscono acqua bassa solo a riva e onde da surf al largo. Caratteristica della spiaggia di cui sopra è un molo artificiale che appare in lontananza: con una passeggiata sulla battigia si rivela essere formato da carcasse arrugginite di vecchie draghe, oggi habitat di varie specie marine.

Nel cuore verde del Queensland
La Bruce Highway è l’autostrada che da Brisbane raggiunge l’estremità settentrionale del Queensland tenendosi poco distante dalla costa che affaccia sul Coral Sea. Ne percorriamo qualche decina di chilometri prima di uscire per Landsborough e proseguire tra verdi prati e grandi alberi fino a Maleny, tipico villaggio di vecchie case in legno restaurate e dipinte. Una deviazione porta alle Gardner Falls, dove abbiamo un primo assaggio di foresta pluviale: tra le rapide i ragazzi giocano ad afferrarsi a una liana per poi tuffarsi in una pozza naturale.
Sulla stessa strada si trova il bivio per Montville, appena 800 anime, le cui case risalenti al 1887 sono restaurate alla perfezione. C’è persino la grande ruota di un mulino ad acqua dismesso, ma la sensazione è che il luogo sia diventato un po’ troppo turistico. La strada sale in un paesaggio che ricorda la vecchia Inghilterra, fra mucche al pascolo e alberi solenni. Poco più avanti è Flaxton che vanta un pub centenario con tanto di foto d’epoca e annuncio di prossimi festeggiamenti; quindi siamo pronti per un’altra immersione nella foresta pluviale del Mapleton Falls National Park, dove ci attendono autentiche cascate. Per chi vuole visitarle con calma, l’area protetta che le circonda offre un circuito da trekking e ben tre campeggi per sostare nel bel mezzo della natura.
Ritrovata la Bruce Highway a Nambour, guadagniamo pochi chilometri verso settentrione per raggiungere Yandina, dove un grande e accogliente campeggio sul fiume Maroochy costituisce un ottimo quartier generale per andare a zonzo nei dintorni. Di un certo interesse la storica stazione ferroviaria del paese, che sembra uscita da una pellicola western ma è tuttora funzionante; nella grande Ginger Factory non solo si acquistano prodotti e derivati commerciali delle numerose varianti dello zenzero, ma si effettua un tour nelle vicine piantagioni a bordo di un trenino trainato da una sbuffante locomotiva a vapore. Il Fairhill Botanic Garden include un lembo di foresta pluviale, un vivaio e un fornitissimo bookshop, mentre al Maroochy Regional Bushland Botanic Garden si ammirano le felci e, in un’apposita area, vari esemplari di piante a rischio, con un sentiero lungo il quale sono state poste sculture di artisti australiani contemporanei.
Di nuovo sull’autostrada, ma sempre rimanendo in zona, è impossibile non fermarsi all’Ettamogah Pub, un grande edificio che si autoproclama Aussie World in quanto vuol essere un concentrato di tradizioni australiane: dai tavoli del ristorante si ammirano foto d’epoca e reperti da museo etnografico, mentre sul tetto è esposto a mo’ di insegna un vecchio camioncino. Proprio lì accanto una deviazione porta all’Opals Down Under, un centro dell’opale dove si ammira un’esposizione ma si può anche acquistare; nel frattempo viene insegnato ai ragazzini, in mezzo alla ghiaia di un recinto, come cercare frammenti di minerale.
Un’escursione nell’immediato entroterra non può che completarsi con un passaggio sulla costa. Da Yandina si prosegue verso Maroochydore sempre costeggiando il fiume che le dà il nome, per poi incontrare una prima grande spiaggia circondata da dune protette. Ma tornando indietro ad attraversare il Maroochy e proseguendo verso nord lungo la Sunshine Coast, è tutto un interminabile litorale di una quarantina di chilometri fino a Noosa Heads, la principale località balneare della zona, una cittadina di 10.000 abitanti (e numerosi koala) piuttosto trafficata.
Dalla punta settentrionale della riviera si rientra sulla A1 nei pressi di Cooroy puntando in direzione di Brisbane, ma il nostro giro ci regala ancora due emozioni. In un paese senza rilevanti alture fanno notizia anche i 556 metri del Mount Beerwah, la vetta principale delle Glass House Mountains, dove l’attrazione non sta nella quota: questi antichi coni vulcanici, immersi nel verde, spuntano nella pianura circostante come undici enormi funghi. Il punto ideale per ammirarli si raggiunge mediante una deviazione segnalata sull’autostrada.
Ormai tornati alle porte della capitale, una seconda deviazione per Kallangur e quindi sulla Dohles Rock Road ci porta in località Griffin, affacciati sul Pine River, dove ci imbattiamo in una singolare situazione: in un contesto di mangrovie (visibili anche qui da passerelle sospese sull’acqua) nidifica l’osprey, il falco pescatore al quale è dedicata la Osprey House, un piccolo centro sull’avifauna locale. All’esterno non mancano le postazioni per il birdwatching, ma è ancora più avvincente osservare lo schermo su cui vengono trasmesse in diretta le riprese nel nido del rapace.
La nostra breve escursione nei dintorni di Brisbane si conclude qui. Ma chi si trovasse da queste parti durante il weekend potrebbe imbattersi in un farmers’ market, dove i coltivatori della zona portano direttamente i loro prodotti. E’ un’usanza tipicamente australiana – pur avendone esempi anche da noi – e alle bancarelle tradizionali si aggiungono quelle di artigianato e piccolo antiquariato. Quest’ultimo, però, in una nazione così giovane si riduce a distese di paccottiglia risalente a una quarantina d’anni fa, dove solo il più tenace collezionista di modernariato potrebbe trovare qualcosa di interessante; golosi invece i banchi di ristoro e divertenti le esibizioni di musicisti da strada. A Eumundi, sfiorata dalla Bruce Highway, una situazione del genere si trova il sabato. Nella vecchia North Pine, raggiungibile dalla Dayboro Road di Petrie, la domenica il villaggio abbandonato torna in vita grazie alle mercanzie esposte all’interno delle abitazioni. A pochi passi di distanza, il Pine Rivers Heritage Museum offre una non disprezzabile raccolta etnografica. E visto che siamo in periodo natalizio, quale posto migliore di un farmers’ market per cercare un regalo originale?

Pleinair con il camper di mare
Dopo un primo breve assaggio di onde e vento con la barca a vela di Peter – ma non quella da competizione! – ci trasferiamo con la Bruce Highway a Gympie e di qui a Tin Can Bay, dove si trova l’imbarco per Fraser Island. Abitata da migliaia di anni, l’isola fu un luogo da sogno già per gli aborigeni: la chiamarono K’gari, che significa paradiso, mentre fu sempre un inferno per i naviganti a causa dei bassi fondali che la circondano e su cui tante navi si arenarono.
Attraccata a un molo ci attende l’houseboat da tempo prenotata. Con l’emozione di chi per la prima volta sale su questa sorta di camper marittimo, l’abbiamo ispezionata mentre gli addetti la caricavano di tutto il necessario, compreso un grande contenitore pieno di ghiaccio per tenere al fresco le bevande e le esche (non che tra gli arredi mancasse un piccolo frigo). Sei posti letto divisi fra una camera vera e propria, la stiva e i divani della dinette, un bagno del tutto simile a quello dei nostri v.r. e un ponte superiore per chi vuole stendersi e prendere il sole. Per non sbagliare, abbiamo immediatamente appeso a poppa la targhetta di PleinAir sotto il nome dell’houseboat, Gentleman Tom.
Il noleggiatore conduce il battello fino all’uscita del porto, sale sulla sua pilotina, ci saluta e rientra. Alternandoci ai comandi scopriamo quanto sia facile condurre la barca, ed ecco spiegata la ragione per cui non è richiesto alcun documento specifico oltre alla patente di guida. E’ sufficiente seguire il percorso obbligato, fra segnali rossi (da lasciare a sinistra) e verdi (da lasciare a destra), proprio come in uno slalom, ma sempre con un occhio al misuratore di profondità: in alcuni punti il fondale è davvero molto basso, e si rischia d’incappare in una secca. A brevi tappe costeggiamo tutta la zona rivolta a ovest, evitando di esporre la nostra casa galleggiante alla violenza del mare aperto, le cui onde possono rendere il viaggio quantomeno poco rilassante. Si getta l’ancora dove si vuole – proprio come si fa con il camper – e ci si ferma a pescare, ma con scarsi risultati: le leggi australiane sono rigidissime, per cui bisogna ributtare in mare gli esemplari che non raggiungono una certa misura. Abbiamo a disposizione una tabella con tutte le specie reperibili in zona, e purtroppo lo stesso discorso vale per i granchi che Peter cerca di catturare andando a depositare le apposite nasse con il dinghy in dotazione alla houseboat, utilissimo per trasferirsi a terra ogni volta che una bella spiaggia si presta per il bagno o per un picnic.
Dai dinghy ai dinghi: in una lettera c’è molta differenza. Ci hanno detto di stare attenti ai noti cani selvatici, presenti in forze sull’isola, perché quando sono in branco possono assalire l’uomo. Non ne abbiamo visto uno, neppure da lontano. In compenso il canale tra la costa e l’isola è frequentato da un simpatico animale poco noto, il raro dugongo, un sirenide di grande stazza ma assolutamente innocuo, oltre che grande mangiatore di alghe: due o tre esemplari si accorgono del nostro arrivo e vengono a curiosare, emergendo per un momento e rituffandosi intorno alla barca.
A guardarla sulla carta, Fraser Island sembrerebbe una penisola staccatasi dal continente. Invece una teoria la vorrebbe formata dalla sabbia via via strappata dalle correnti marine alla costa e accumulatasi al largo. La foresta lussureggiante che ricopre il suo interno lascia diversi dubbi circa questa interpretazione, ma persino il governo australiano la sostiene, ritenendo che si tratti della più grande sand island del pianeta. Scendiamo al centro visite per aggregarci a un’escursione in bus: non ci sono strade, ma piste sabbiose che costringono tutti i veicoli (ovviamente a quattro ruote motrici) a montare cerchi di dimensione insolita e a sgonfiare parzialmente le gomme. Oltre alle soste per inoltrarsi a piedi nella foresta, raggiungiamo uno dei quaranta laghetti d’acqua dolce che costellano l’isola, dove si può anche fare una bella nuotata; ma ci attende un finale a sorpresa. Il nostro automezzo sbuca sulla Seventy-Five Mile Beach, lunghissima spiaggia affacciata sull’oceano… ebbene, nell’ordinata Australia dei mille divieti, dove per piantare una tenda bisogna ottenere un permesso perché il numero è chiuso in nome del rispetto della natura, la battigia è stata trasformata in una pista da autocross, su cui bus e fuoristrada fanno a gara a chi preme di più sull’acceleratore. E ci dicono che non accade solo qui.
In questa folle corsa non c’è modo di scattare una sola foto, ma per fortuna godiamo di alcune fermate, prima dove si può ammirare il relitto di un mercantile giapponese naufragato nei lontani anni ’30, poi dove sostano piccoli aerei pronti a decollare con una rincorsa sulla battigia, quasi in gara con gli altri mezzi, per chi vuole completare la gita con un volo. Dopo aver scovato alcune singolari aggregazioni di sabbie colorate e un ruscello che i ragazzi ridiscendono con le tavole, torniamo a riposare sull’houseboat: un’esperienza talmente positiva che oggi aspettiamo Maria Cristina e Peter per ricambiare con una più tranquilla gita sui canali di Francia.

Testo di Luigi Alberto Pucci Foto dell’autore e di Ivana Ricci

PleinAir 460 – novembre 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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