Alpi del Grande Nord

Tenda, auto, scarponi, mountain bike e traghetto: a tutto pleinair su uno splendido percorso-natura nel cuore della Norvegia, tra Bergen, il Sognefjord e i parchi di montagna.

Indice dell'itinerario

Fu l’esploratore greco Pytheas, partito dal Mediterraneo francese negli anni fra il 330 e il 325 a.C. alla volta degli oceani settentrionali, a citare per primo nei suoi diari di viaggio una terra posta a circa sei giorni di navigazione dalle coste dell’odierna Gran Bretagna. Il mitico paese di Thule, dove il sole brilla anche a mezzanotte, è stato per lungo tempo identificato con l’Islanda o alcuni arcipelaghi del Mare del Nord, ma la teoria oggi più accreditata lo identifica con le regioni centrali della Norvegia. E’ proprio qui, sull’onda delle antiche leggende, che inizia il nostro viaggio: certo, non ci aspettiamo di trovare ciò che vide Pytheas quasi ventiquattro secoli fa, ma la suggestione dei luoghi è ancora intatta nella nostra immaginazione e ne troveremo conferma strada facendo.
La costa di Bergen ci appare battuta da una burrasca estiva, ma avvicinandosi gradualmente alla città quello che più colpisce è la disposizione delle case, ben distribuite e circondate da ampi spazi verdi, ispirando un senso di armonia e di discrezione che trova ben poche somiglianze altrove.
La strada E39, spesso ondulata e a volte piuttosto impegnativa, sale verso nord attraversando Fjordland, la terra dei fiordi. Curve, tunnel e pioggia battente smorzano un po’ l’entusiasmo iniziale, ma ben presto ci si abitua anche alle asperità del percorso e a questo clima così inusuale per le abitudini di chi vive a latitudini più temperate. Il paesaggio, d’altra parte, è quanto di più pittoresco ci si possa attendere: scanditi da boschi di pini e di betulle, i villaggi si susseguono l’uno dopo l’altro con i giardinetti fioriti e i piccoli orti costieri.
Dopo aver coperto una novantina di chilometri da Bergen, traghettiamo sullo spettacolare Sognefjord durante una pigra giornata di sole. Il battello parte dal porticciolo di Brekke, sulla sponda meridionale, per attraccare sulla riva opposta a Lavik, minuscolo gruppetto di abitazioni in riva al freddo mare. Siamo sul fiordo più imponente della Norvegia, lungo ben 180 chilometri e profondo fino a 1.300 metri, con acque pescose in cui si rispecchiano decine di casette colorate con l’immancabile contorno di prati fioriti. Sui traghetti (ne prenderemo ben cinque) si assiste non di rado a simpatici episodi della quotidianità norvegese: le famiglie con tanto di prole si schierano sul molo per ricevere i parenti in arrivo o per accompagnare quelli in partenza, i ragazzi giocano e strillano mentre i contadini, i pescatori e i pensionati, pacifici e taciturni, se ne stanno in disparte ad osservare incontri e saluti.
Costeggiamo il Sognefjord fino al paese di Vadheim, incuneato in un minuscolo ma bellissimo ramo laterale. Ci siamo ormai pienamente calati in questa atmosfera vichinga, ma è il momento di attraversare un’ampia parte dell’entroterra fra boschi e laghetti dalle immobili acque blu. A Førde, di nuovo affacciato su un esile braccio di mare e incoronato da montagne le cui brune rocce sono ancora chiazzate di bianco, la strada si allunga in una stretta valle sino al limite delle nevi: dapprima lambisce il lago Jolstravatnet fino all’abitato di Skei, supera Byrkjelo e scavalca un passo a quota 650 per portarsi sulle rive dell’Innvikfjorden. Seguiamo anche questo fino a Olden, per poi sterzare decisamente verso sud su uno stretto tracciato che corre all’interno della Oldedalen fino ad arrivare in prossimità di Briksdal, ai margini del parco nazionale dello Jostedalsbreen. Una sterrata percorribile in 4×4 ci porta all’imbocco di un sentiero escursionistico, che seguiamo fino allo spettacolare Briksdalbreen: una lingua di ghiaccio verde-azzurro che scende tormentata dai monti per gettarsi in un laghetto nel quale fluttuano piccoli iceberg, in uno scenario da alba del mondo.Tornati sulla strada principale, costeggiamo l’estremità dell’Innvikfjorden fino a Stryn e imbocchiamo la valle dell’Otta. La carreggiata è molto stretta e piena di curve ma la gola, chiusa tra i monti e punteggiata di laghetti, garantisce scorci di grande fascino; tra i più belli, nella prima parte, quello del lago Stryn nelle cui acque verde pastello si riflettono in modo singolare i blocchi di neve e di ghiaccio che resistono ai tepori dell’agosto nordico. In una solitudine più magica che inquietante si prosegue tra foreste e torrenti, ed è quasi sera quando arriviamo a Lom. Qui sorge una delle più preziose chiese di legno della Norvegia, che risale addirittura all’XI secolo ed è stata rimaneggiata nel ‘600, epoca alla quale appartengono i tetti ad altissimi spioventi e lo slanciato campanile.
Da Lom si accede a uno dei percorsi più interessanti delle Alpi Scandinave norvegesi (la lunga catena ha appunto inizio sulla costa del Mare del Nord e si dipana sino in Finlandia, con le ultime basse propaggini che arrivano quasi all’altezza di Capo Nord). Nel primo tratto ci si avvicina al parco nazionale dello Jotunheim seguendo la verde vallata di Boverdalen, dove si hanno dinanzi le cime ghiacciate del monte Galdho, uno dei più alti del paese con i suoi 2.240 metri; giunti in località Galdbygda, sulla sinistra si stacca una pista in terra battuta con accesso a pagamento – aperta solo da giugno a settembre per ovvi motivi climatici – che si sviluppa su ventuno tornanti per un totale di 14 chilometri. La si può affrontare solo con mezzi fuoristrada o con biciclette adatte, e poiché al nostro arrivo in Norvegia abbiamo noleggiato anche due mountain bike decidiamo di utilizzarle per salire verso il ghiacciaio. Sistemate la tenda e l’auto in un camping a due passi dalla pista, montiamo in sella e attacchiamo decisi la ripida salita, accompagnati da nebbia e sporadiche apparizioni del sole fino a quota 1.880, dove i ghiacci del Galdhøppigen si gettano nelle acque scure di un lago. Poco lontano la Juvasshytta, una grande baita di proprietà del Club Alpino Norvegese, offre ristoro e riparo agli escursionisti e ci rifugiamo tra le sue mura per riscaldarci con un buon tè prima di tornare alla base.
Continuando lungo la valle su asfalto ben tenuto, la strada tocca il suo punto più alto (1.400 m) a Krossbu, che gode di un panorama davvero magnifico: ben sette ghiacciai si dispiegano sull’anfiteatro del massiccio, le cuspidi degli iceberg spuntano dalla superficie dei piccoli bacini montani e tutt’intorno si stendono le rocce praticamente nude.
La discesa che ci riporta verso il Sognefjord non è meno bella, in una sfilata continua di picchi e calotte glaciali che ora però vediamo dal basso. Ed è subito mare sul Lustrafjord, ricco di campeggi, che costeggiamo quasi per intero passando poi per la graziosa cittadina costiera di Sogndal fino a Kaupanger, dove il traghetto si insinua nei rami laterali del Sognefjord. La traversata è veramente piacevole: l’ambiente, grazie a una certa mitezza del clima, offre ancora monti coperti di boschi e più in basso distese di alberi da frutto. Nella prima parte il battello si addentra nell’Aurlandsfjord e successivamente nello stretto Nærøyfjord, tra rive verdissime a sud e alte cime strapiombanti a nord, che nascondono il sole per molti mesi all’anno.
Sbarcati a Gudvangen, si riprende la marcia tra boschi, cascate e buie gallerie. Risaliti a quota 1.000 si ha nuovamente l’impressione di trovarsi fra picchi impervi e selvaggi, ma non è che una debole eco della voce possente che ci siamo lasciati alle spalle. E’ l’ultima pausa di maestoso silenzio fra queste Alpi del Grande Nord, mentre laggiù in basso, oltre l’Hardangerfjord, già si intravvedono le case e il mare di Bergen.

PleinAir 419 – giugno 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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