Alpi Apuane, il bianco sbanca

Segnato irrimediabilmente dalla presenza delle cave di estrazione del marmo, il versante occidentale delle Alpi Apuane offre un patrimonio naturale selvaggio e una tradizione gastronomica d’eccellenza, il cui prodotto più noto – il lardo di Colonnata – rimanda alla storia della dura vita del cavatore

Indice dell'itinerario

Sembra facile dire pane e lardo. E per i cavatori del passato lo era. La domenica sera, prima di partire a piedi per cinque duri giorni di lavoro in montagna, gli uomini dei paesi ai piedi delle Alpi Apuane infilavano nello zaino una pagnotta. Poi scendevano in cantina, aprivano la loro conca di marmo e tagliavano un pezzo di lardo sufficiente fino al venerdì successivo. Chi viveva a Colonnata e negli altri borghi più vicini alle cave faceva la stessa operazione ogni giorno.

il lardo di Colonnata
il lardo di Colonnata

Oggi le ripide strade percorse dai camion che trasportano a valle i giganteschi blocchi di marmo hanno avvicinato le zone di estrazione ai paesi e hanno reso la vita dei cavatori più umana. Un tempo, chi lavorava nelle cave d’alta quota – come quelle del Sagro, della Focolaccia e del Sella – s’incamminava verso la montagna il lunedì per tornare in paese il sabato mattina. La domenica si festeggiava in famiglia, poi su di nuovo verso un destino fatto di pietra e di sudore. Solo nel dopoguerra, quando le operazioni più gravose hanno iniziato a essere svolte dalle macchine, la vita dei cavatori è andata progressivamente migliorando.

Il pane di Vinca, specialità della frazione di Fivizzano
Il pane di Vinca, specialità della frazione di Fivizzano

«Da ragazzo ci ho lavorato, in quelle cave». Sorride Adriano Mariani, che insieme a Nello Quartieri inforna il pane tradizionale di Vinca. «Dal paese alle cave occorrevano due ore di cammino, su c’erano un’osteria, un dormitorio e perfino due carabinieri con una cella in caso di furti o di risse. I giovani scendevano a passare una notte in paese a metà settimana, i più anziani restavano su nella cava. Poi la tecnologia e le strade hanno cambiato tutto. Alle cave del Sagro in passato lavoravano duecentocinquanta persone, oggi ne sono rimaste trenta. Un minibus passa a prendere i cavatori alle 6 e alle 16.30 sono tutti di ritorno a casa».

La difficile storia del lardo

alcuni escursionisti sul sentiero di vetta del Monte Tambura
alcuni escursionisti sul sentiero di vetta del Monte Tambura

La strada che sale da Carrara verso il cuore delle Alpi Apuane si affaccia sulle cave dei Fantiscritti e di Ravaccione, tocca le frazioni di Bedizzano e Codena e s’inerpica a stretti tornanti sino alla frazione di Colonnata, celebre all’inizio del ‘900 per i suoi anarchici (ricordati da una lapide in piazza) e circondata da un impressionante anfiteatro di cave. Sorveglia il borgo la massiccia parrocchiale, che conserva un Crocefisso cinquecentesco; di fronte alla chiesa si trova il marmoreo Monumento al Cavatore, realizzato nel 1983 dallo scultore Alberto Sparapani. Nell’opera sono raffigurate tutte le fasi dell’estrazione del marmo con i metodi tradizionali, che comportavano pericolo e fatica; ed era proprio il lardo a garantire ai cavatori l’energia necessaria per affrontare il duro lavoro.

Oggi il salume tipico di questo borgo, che conta trecento anime, è conosciuto in tutto il continente: «Abbiamo iniziato a riproporre il nostro lardo negli anni ‘90» afferma Fausto Guadagni, produttore locale. «Prima lo hanno scoperto nell’Europa settentrionale, poi anche l’Italia ci ha capito. Così sono arrivati il presidio di Slow Food e l’Indicazione Geografica Protetta, istituita nel 2004». Undici produttori autorizzati all’utilizzo del marchio IGP propongono l’antico cibo dei cavatori, e quattro ristoranti di Colonnata permettono di scoprirne l’uso in cucina. Ma alla sede del Parco Regionale delle Alpi Apuane ci spiegano che il lardo si produceva in tutti i paesi: «Ottimi produttori esistono anche nelle valli di Massa e di Lucca. All’interno dell’area protetta stiamo lanciando una Strada del Pane, ma la IGP limitata a Colonnata ci impedisce di varare anche una Strada del Lardo».

Una fase di preparazione della carne per le salsicce al Cardoso, nel Comune di Stazzema
Una fase di preparazione della carne per le salsicce al Cardoso, nel Comune di Stazzema

I commercianti che non rientrano nel territorio comunale di Carrara, però, non perdono tempo in polemiche. Ci spostiamo così nel territorio del Massese, dove un altro produttore ci spiega come con il tempo il lardo abbia rischiato di scomparire. «Fino a qualche decennio fa tutte le famiglie avevano la loro scorta. Qualcuno macellava il proprio maiale, altri lo acquistavano in botteghe come quella di mio nonno Adolfo Balderi» racconta Gianni Lorenzetti, titolare con il fratello Maurizio dell’azienda di Montignoso che, proprio in onore del nonno, si chiama La Bottega di Adò. «Il lardo non si usava in cucina come oggi ma come un salume, da mangiare con il pane. Il progresso ha portato cibi più raffinati, e il lardo ha rischiato di sparire».

Fortunatamente la tradizione non si è interrotta, anche con un’offerta gastronomica più ampia: «Il nostro punto di forza sono da sempre le salsicce. Montignoso si trova a pochi chilometri dal mare, il clima è umido, qui non si possono fare prosciutti senza esagerare con il sale. Il coscio, tagliato a pezzetti, finisce nelle salsicce. Aggiungendo salvia, rosmarino e un tipico aglio massese di piccole dimensioni e dal colore rossiccio si ottiene un prodotto eccezionale». Nel laboratorio, oltre alle salsicce, si produce il biroldo – un altro salume povero fatto con la testa, il cuore, il sangue e le frattaglie del maiale – un’ottima mortadella nostrale, una salsiccia profumata e stagionata da mangiare a fette. Fuori dalla Bottega di Adò, la torre medioevale di Montignoso domina il piccolo Lago di Porta (protetto da un’oasi del WWF) e la pianura che si allunga verso il mare, attraversata dalla Via Aurelia.

Le valli selvagge

La millenaria pieve di Santa Maria Assunta a Stazzema
La millenaria pieve di Santa Maria Assunta a Stazzema

Dalla statale 1 bastano pochi chilometri per entrare in un mondo selvaggio, difficile da immaginare dalle spiagge di Marina di Massa, Forte dei Marmi e Marina di Pietrasanta. Salendo sopra le città ai piedi delle Apuane ci si addentra in una realtà severa dove la vegetazione s’alterna alle rocce, dominata da vette importanti come il Pizzo d’Uccello (1.795 m), la Pania della Croce (1.858 m) e l’Altissimo, che non deve il nome alla quota di vetta (1.589 m) ma al fatto che, osservandolo dalla riviera versiliese, la sua mole svetta solennemente sul paesaggio circostante. Altrove – sulle altre Alpi e sull’Appennino – in montagna si sale. Qui nella montagna sembra di entrare, di colpo e con poco dislivello.

il sentiero che conduce brevemente al Rifugio Forte dei Marmi all’Alpe della Grotta
il sentiero che conduce brevemente al Rifugio Forte dei Marmi all’Alpe della Grotta

Per chi ama la natura, queste valli sono uno scrigno di sorprese. Da Pruno e Cardoso, ma anche dal più vicino abitato di Pontestazzemese, si osserva l’arco naturale del Monte Forato, una delle meraviglie più fotografate di queste montagne. Un comodo sentiero nel bosco, accessibile anche agli escursionisti più pigri, sale da Stazzema al Rifugio Forte dei Marmi, base per gli arrampicatori che si cimentano sulle splendide pareti del Procinto e del Nona. Prima di incamminarsi sul tracciato escursionistico, Stazzema merita una visita: situata a 443 metri di quota tra boschi di castagno e di faggio, propone al visitatore la bella pieve di Santa Maria Assunta, eretta nel secolo IX e rifatta nelle forme attuali nel ‘200. Affacciata su un bel panorama, la chiesa emoziona soprattutto per l’eleganza della facciata, ornata da un rosone cinquecentesco e dal Battesimo di Gesù di Marcello Tommasi; l’austero interno è decorato da capitelli romanico-gotici, da un bel fonte battesimale e da vari altari barocchi. In paese suscitano interesse anche la Torre Medicea (o dell’Orologio, del 1739) e la Fontana di Carraia, del XVI secolo.

L’Antro del Corchia è situato in uno dei complessi carsici più grandi d’Italia
L’Antro del Corchia è situato in uno dei complessi carsici più grandi d’Italia

Dalla frazione di Levigliani si accede all’Antro del Corchia, una delle grotte più profonde d’Italia. Appannaggio per decenni dei soli speleologi, la cavità è stata raggiunta da una galleria artificiale e attrezzata con luci e passerelle che creano un suggestivo percorso: un’iniziativa contestata da alcuni speleologi e ambientalisti, ma che l’ente parco ha sempre difeso a spada tratta. Il problema principale del turismo sulle Apuane è infatti rappresentato dalla vacanza mordi e fuggi, con migliaia di visitatori che salgono dalla Via Aurelia e dalle spiagge della Versilia, si guardano intorno e se ne vanno. Iniziative come la Strada del Pane, l’attrezzatura dell’Antro del Corchia e il restauro dell’antica Via Vandelli costituiscono un invito a fermarsi qualche giorno per scoprire un territorio ancora non interessato dal turismo di massa.

Seguendo l’erta via e specialità apuane

frazione di Resceto
frazione di Resceto

Da Resceto, nell’entroterra di Massa, si segue a piedi il selciato della Via Vandelli, tracciata tra il 1739 e il 1750 per unire Modena con Massa e restaurata da qualche anno. Questa incredibile strada lastricata attraversa pendii ripidissimi e un valico a 1.620 metri di quota; fu progettata dall’abate Domenico Vandelli per il duca Francesco III d’Este, che voleva un collegamento tra le sue città (Modena e Massa, appunto) evitando il territorio di Lucca.

La strada, dolce e senza problemi sull’Appennino, è davvero impressionante sulle Apuane, nell’interminabile salita fino al Passo della Tambura e nella discesa fino a Vagli. Raccontano le cronache locali che il duca la percorse una sola volta in carrozza (in senso opposto) e ne uscì con i capelli dritti in testa, ordinando di punire severamente il Vandelli. Ma forse è solo una storia, su cui è legittimo avere qualche dubbio.

La Via Vandelli sale a ripidi tornanti dalla frazione di Resceto
La Via Vandelli sale a ripidi tornanti dalla frazione di Resceto

Certo è invece che i tornanti della strada settecentesca, che si alzano da Resceto verso la montagna, offrono una delle escursioni più suggestive di tutte le montagne italiane. I più pigri possono limitarsi a una breve passeggiata sulle prime curve del lastricato, accanto al quale trova posto una via di lizza che un tempo serviva alla discesa a valle del marmo. Escursionisti provetti e camminatori allenati, invece, possono affrontare la faticosa sgroppata che dai 485 metri di Resceto porta ai 1.420 del Rifugio Nello Conti, affacciato sulle rocce della cresta di Sella, e ai 1.620 del Passo della Tambura, dove la strada scavalcava il crinale. Chi è arrivato fin qui ha l’opportunità di proseguire per una ripida cresta salendo in vetta al Monte Tambura (1.895 m), straordinario belvedere sull’intera catena, l’Appennino e il litorale. Si tratta anche – e qui non è una cosa da poco – di una delle poche montagne di questo versante delle Apuane che non sono state deturpate dalle cave. Per raggiungerla da Resceto, però, bisogna mettere in conto almeno tre ore e mezzo di cammino.

Specialità apuane

Ma è ora di tornare ai sapori, perché su questi monti i profumi del lardo e del pane s’intrecciano. In Alta Versilia, a Seravezza, il panificio di Andrea D’Angiolo produce due delle specialità da forno più apprezzate della zona. La prima è una focaccia impastata con farina di mais e condita all’uscita dal forno con aglio, olio d’oliva e basilico. L’altra è il pane di patate, che D’Angiolo inforna ogni sabato: una ricetta che arriva dalla Garfagnana, al di là delle Apuane. I sapori decisi di entrambe ben si adattano all’abbinamento con il lardo.

L’arco naturale del Monte Forato
L’arco naturale del Monte Forato

Qualche chilometro più in su, all’ingresso del borgo medioevale del Cardoso (frazione di Stazzema) e in vista del Monte Forato, la norcineria Barsanti produce lardo, salsicce e mortadella nostrale. «Anche qui il clima impedisce di fare dei buoni prosciutti, e le carni più pregiate finiscono in mortadelle e salsicce» spiega Andrea Galleni, titolare dell’azienda insieme alla moglie.

Se il lardo nelle Alpi Apuane viene prodotto quasi ovunque, il suo utilizzo in cucina è in voga soprattutto a Colonnata. Torniamo dunque nella provincia di Massa e Carrara per conoscere Carla Guadagni, cuoca e titolare con il marito della Locanda Apuana, dove propone tradizionali crostini e interessanti abbinamenti con i capperi, le acciughe e persino i fichi. Tra i secondi spiccano piatti più tradizionali come il coniglio farcito e lardellato e la tagliata al lardo; la carne della schiena del maiale diventa la ciccetta, servita con pomodoro e rucola accanto naturalmente al bianchissimo salume.

Il campanile della chiesa di San Bartolomeo svetta sul borgo di Colonnata
Il campanile della chiesa di San Bartolomeo svetta sul borgo di Colonnata

La seconda piazzetta del borgo, a pochi metri dalla prima, dà il nome all’Osteria nella Pia’, che il giovane chef Cristiano Guadagni ha aperto insieme a sua moglie Ilaria dopo aver lavorato proprio alla Locanda Apuana. «Abbiamo un menù semplice, con cinque primi e cinque secondi. Per distinguerci dagli altri locali della zona abbiamo cercato di innovare, e in questo Ilaria è bravissima». Il lardo («che è un salume, e come tale va mangiato» aggiunge Cristiano) compare soprattutto negli antipasti, dove viene abbinato con acciughe e pane croccante o con miele di corbezzolo amaro, oppure proposto in una crêpe insieme a pomodoro e aceto balsamico. Per quanto riguarda i secondi piatti, come suggerisce la filosofia dei proprietari, il grasso appare di rado. Da un taglio del maiale molto vicino a quello del lardo, però, provengono gli straccetti saltati in padella con farro, aceto balsamico e verza: un vecchio cavatore non riconoscerebbe il cibo che ha portato nella bisaccia per una vita. 

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