Alburni sotto sopra

A distanza di tre anni (vedi PleinAir n. 287) ritorniamo sul massiccio dei Monti Alburni per scoprire le grotte di Castelcivita e di Pertosa, due inediti itinerari in quest'angolo ancora poco conosciuto del Parco Nazionale del Cilento.

Indice dell'itinerario

Nell’estremo lembo settentrionale del Parco Nazionale del Cilento, le grotte di Pertosa e quelle di Castelcivita sono situate sui due versanti contrapposti ai piedi del massiccio dei Monti Alburni, in un’area compresa tra il Vallo di Diano a est, la valle del Tanagro a nord-est, quella del Calore a sud-ovest e quella del Sele a nord-ovest. Intorno ai due ipogei, particolarmente significativi per bellezza ed estensione, si individuano nuovi e interessanti itinerari in una natura preservata da un secolare isolamento, nonostante l’autostrada Salerno-Reggio Calabria sfiori il parco con il suo tortuoso percorso.

Il rifugio di Spartaco
Leggenda vuole che presso le grotte di Castelcivita, che si aprono a valle del paese omonimo, verso il 71 a.C. avessero trovato rifugio lo schiavo ribelle Spartaco e i suoi seguaci, dopo la sconfitta di Pratella. Che sia vero o no, il traffico militare e commerciale che al tempo si svolgeva nella zona era senza dubbio intenso: lo attesta la Via Popilia, una deviazione militare dell’Appia che costeggiando l’Alburnum si inoltrava in Lucania passando per il ponte Paestum (a 300 metri dalla grotta), l’unica via di collegamento con Roma per centri come Elea (Velia), Salerno, Capua.
Notizie più certe delle grotte si hanno nel Settecento, ma i racconti fantastici di tumultuosi fiumi sotterranei e gallerie infinite vengono confermati solo nel 1889, con la prima esplorazione ad opera di due fratelli del vicino paese di Controne: Francesco e Giovanni Ferrara. Questi, addentratisi con lucerne ad olio nelle viscere della montagna, vagarono per otto giorni nell’oscurità prima di essere ritrovati: il primo morto, e il secondo, unico testimone delle meraviglie della grotta, pazzo . La cavità, che si sviluppa per 4800 metri, è costituita da un ramo principale e da numerose diramazioni laterali; tutto il tratto ipogeo può dividersi in tre sezioni, delle quali solo la prima parte, fino alla Caverna Bertarelli, è al momento visitabile in ogni stagione. Un paio di anni fa, infatti, una violenta piena ha divelto l’impianto di illuminazione e parte del sentiero attrezzato che si spinge fino al Sifone: questo tratto, perciò, non è percorribile, e di conseguenza neppure quello successivo, che va dal Sifone al lago omonimo, prima praticabile solo in periodi di scarsa piovosità. Il terzo tratto della grotta non è mai stato attrezzato per i turisti e si spinge fino al lago Terminale, dove lo sviluppo della cavità prosegue sott’acqua.
La località si raggiunge dall’autostrada Salerno-Reggio Calabria, uscendo a Campagna o Eboli e proseguendo lungo la S.S.19 in direzione Serre fino all’incrocio con la S.S. 488 per Roccadaspide. All’altezza del fiume Calore, subito prima del ponte Paestum, una strada asfaltata posta sulla sinistra conduce al piazzale d’ingresso. Si accede all’ipogeo tramite un’ampia caverna sita in fondo al piazzale della biglietteria, dove si trovano pure negozietti di souvenir e un bar-ristorante.
Tra le numerose escursioni praticabili nella vicinanza delle grotte (vedi PleinAir n. 287) ne proponiamo due inedite. La prima è quella che conduce alla Risorgenza del Vecchio Mulino: la si raggiunge per un ripido sentierino in discesa, che si origina a una cinquantina di metri dal piazzale delle grotte e porta direttamente all’alveo del fiume Calore. Per individuare il tracciato, si consiglia di rivolgersi alla biglietteria. Percorsa la discesa, si può arrivare alla meta per due strade: la prima costeggia la riva del corso d’acqua, la seconda, più in quota, tocca un’antica costruzione a forma di torre, dalla quale si gode una visione d’insieme. La rigogliosa vegetazione intorno al mulino crea un ottimale e ombroso luogo di sosta, reso ancor più suggestivo dalla presenza dei ruderi, al cui interno sono ancora presenti le grosse macine. Volendo, nei mesi estivi, ci si potrà bagnare nelle tiepide acque del fiume. Altro itinerario, molto più impegnativo ma sicuramente meritevole, è la salita alle grotte fortificate della Rupe di Ottati, paesino a pochi chilometri da Castelcivita. Giunti in paese ci si fa indicare il sentiero per la grotta di Santa Croce; lungo la parete della rupe che sovrasta l’abitato, dopo una ripida salita, si fronteggerà una serie di grotte fortificate probabilmente nel Medioevo (sono state usate in tempi più recenti come roccaforti del brigantaggio, qui molto diffuso fino alla metà dell’Ottocento). Da qui la vista domina il borgo e tutta la valle del fiume Fasanella.
Qualche chilometro più a est merita una visita anche il Museo Naturalistico degli Alburni, nel centro storico di Corleto Monforte: non prima, però, di aver effettuato una sosta presso il Bar degli Alburni a Sant’Angelo a Fasanella, dove una nostra vecchia conoscenza, il signor Menicuccio Palomone (vedi PleinAir n. 287) fornirà tutte le indicazioni e gli aggiornamenti necessari per una più approfondita visita della zona.Il museo, cui fa capo l’associazione culturale-naturalistica “Il Passero del Borgo Antico”, rappresenta l’ambiente naturale del massiccio alburneo e dell’Appennino centro-meridionale. Di notevole interesse il settore entomologico dedicato al genere carabus che offre una numerosa collezione di coleotteri, ma tantissime altre specie endemiche arricchiscono le sale della struttura, in continua crescita grazie all’impegno del direttore Camillo Pignataro e dei suoi collaboratori.

Civita Pantuliano
Più volte distrutta e ricostruita, Castelcivita prese il nome attuale nel 1863 dal colle omonimo su cui è edificata; sotto gli Angioini si chiamava Civita Pantuliano, mentre nel XIII secolo, in età aragonese, Castelluccio. Come tanti altri centri degli Alburni presenta un ben conservato borgo antico, su cui domina la bellissima torre angioina del XV secolo. La posizione geografica, addossata alla montagna, determina l’architettura digradante del paese, con numerosi scorci panoramici, balconi sospesi a strapiombo sulla vallata, case a grappolo appoggiate le une alle altre come in una cascata, gradinate, portali, viuzze. Insomma, un contesto animato e apprezzabile in particolare durante ricorrenze, come la festa della Madonna di Costantinopoli (26 agosto) e la festa del patrono San Nicola (6 Dicembre).

Porta dell’inferno
Spostiamoci adesso nel versante opposto del massiccio, approfittando della strada panoramica Sant’Angelo a Fasanella – Petina che scavalca il massiccio in direzione nord-est, attraversando estese faggete e castagneti. Là si trova un altro complesso carsico: la grotta di Pertosa. L’ipogeo – una serie di reticoli e gallerie di grande interesse speleologico, oltre che di grande suggestione – si apre tra il territorio del comune omonimo e quello di Auletta, a ridosso del Vallo di Diano. Recenti studi hanno appurato che le rocce originarie risalgono a circa 35 milioni di anni fa. La prima esplorazione risale al 1924, quando si pensò allo sfruttamento idrico della cavità; ma è solo nel 1932 che se ne comprese la notevole potenzialità turistica, allorché i cunicoli furono aperti al pubblico. Attualmente la grotta si articola in un ramo principale con diverse diramazioni laterali, per un totale di 2.650 metri rilevati. Il percorso maggiore, completamente allagato per i primi 200 metri a causa di uno sbarramento artificiale, forma un canale navigabile che rende la cavità unica nel suo genere. L’accesso alla grotta avviene per mezzo di una passerella che, attraversando lo sbarramento, permette ai visitatori di inoltrarsi nel cavernone di ingresso e raggiungere il molo. Qui sono ormeggiati gli zatteroni che li trasporteranno lungo il suggestivo tratto allagato. Le imbarcazioni sono manovrate da moderni Caronte che, utilizzando un cavo d’acciaio steso per tutta la lunghezza della galleria, traghettano l’equipaggio fino alla zona delle cascate (200 metri più avanti), dove ha inizio il percorso a piedi. L’atmosfera è resa ancor più affascinante dalla presenza del fiume sotterraneo, cosa abbastanza comune nelle grotte, ma rara in quelle a fruizione turistica. Il ramo percorribile a piedi termina nel Gran Salone dopo aver attraversato una serie di passaggi fortemente concrezionati. E’ il settore più spettacolare della grotta, dove sono rappresentate quasi tutte le morfologie ipogee: dalle cortine a velo di estrema trasparenza, alle spettacolari cascate pietrificate, alle torreggianti colonne calcitiche.
La località è facilmente raggiungibile dall’autostrada Salerno – Reggio Calabria uscendo a Polla per chi arriva da sud, o a Petina provenendo da nord, seguendo poi la S.S. 19 e le numerose indicazioni. Al chilometro 50+50 si incontrerà un bivio: da qui parte una stradina che, attraversato un ponticello sul fiume Tanagro, conduce alla grotta. Poco prima di giungere al piazzale di sosta si incontreranno sulla sinistra i ruderi di un antico mulino, che tra giochi d’acqua e irruenti cascatelle inviteranno a una piacevole sosta per qualche foto. Lasciato il mezzo nel grande piazzale, si prosegue a piedi verso la biglietteria, nelle cui vicinanze si trovano anche alcune strutture ricettive che fanno da cornice a un piccolo parco per il ristoro dei visitatori.

PleinAir 328 – ottobre 1999

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