Trekking di 5 giorni all'inizio del cammino di Santiago de Compostela

Il pellegrinaggio verso Santiago de Compostela prende il via da Le-Puy-en-Velay, nel cuore dell’Alvernia: l’abbiamo seguito per cinque giorni con lo zaino in spalla sulle tracce del vescovo Godescalco, fra le antiche pievi e gli spazi aperti del Massiccio Centrale

Indice dell'itinerario

Per ogni inizio, a ben guardare, c’è sempre un punto di partenza più lontano, una visione differente che cambia di colpo le prospettive che magari avevamo dato per scontate. Anni fa, partendo da Saint Jean Pied-de-Port lungo la prima tappa del Camino de Santiago de Compostela che mi avrebbe portato ad attraversare i Pirenei per raggiungere la mitica Roncisvalle, pensavo di aver fatto tutto per bene e di avere “iniziato dall’inizio”. Poi leggendo, studiando cartine e sognando itinerari futuri e possibili, avevo scoperto che uno dei cammini verso Santiago più celebri della storia passava sì da Saint Jean ma, secondo la tradizione medioevale, iniziava da ben più lontano.

Per l’esattezza dalla cittadina di Le Puy-en-Velay, nel cuore remoto dell’Alvernia, da dove verso Compostela era partito nel 950 il vescovo locale: Godescalco. Il suo lungo viaggio è stato narrato dall’abate Gomez del convento di San Martino d’Abbada con queste parole: “Il vescovo Godescalco, animato da un’aperta devozione, ha lasciato il suo paese d’Aquitania, accompagnato da un grande corteo, dirigendosi verso l’estremità della Galizia per toccare la misericordia divina, implorando umilmente la protezione dell’apostolo Giacomo”.

20220203_Le Puy en Velay

A farla breve, dopo aver pensato per anni di aver percorso tutto il celebre cammino, mi ero trovato nella situazione inquietante di scoprire che, in realtà, mancavano appena 700 chilometri da coprire tra la diocesi di Godescalco, perduta ai piedi del Massiccio Centrale, e i contrafforti dei Pirenei – cari a Carlo Magno e un po’ meno apprezzati dai suoi paladini che qui vennero sterminati senza pietà dai Mori – lungo quella che per i nostri antenati camminatori si chiamava la Via Podiensis. Quando si scoprono verità così inquietanti, spesso ci si rende conto che il compito che ci attende è troppo per un uomo solo, soprattutto se mingherlino e di mezz’età.

Quindi è stato ovvio rivolgermi, nella ricerca di collaudati compagni di viaggio, alla crema della crema (come diceva Edgar, il perfido maggiordomo degli Aristogatti) e cioè al trio di audaci e simpatici giovanotti con cui mi è capitato di camminare quasi tutte le estati dal 2001 in avanti. Con il passare degli anni organizzare un appuntamento teoricamente semplice (del tipo: «Ci si vede a Lione sabato sera, a fine luglio?») è diventato un lavoro non da poco. Così, in una bella mattina estiva, dopo aver passeggiato un paio d’ore nell’aeroporto lionese dedicato ad Antoine de Saint-Exupéry, avevo accolto Gaetano proveniente da Londra con un buon caffè e un croissant, mentre Federico, giunto in treno da Milano, ci attendeva in una bettola del centro e Giacomo, in volo dalla umida Irlanda, sarebbe atterrato solo nel pomeriggio, accompagnato ovviamente da un diluvio con fulmini e saette.

Dopo un lungo viaggio, reso complicato dall’abitudine francese di cancellare una serie di linee ferroviarie nei mesi estivi per lavori di maquillage, finalmente l’arrivo a Le Puy-en-Velay ci aveva introdotto poco alla volta nell’anima del pellegrinaggio, grazie anche a un incontro con alcuni simpatici signori barbuti dell’Association Le Camino che ci avevano offerto stravaganti sciroppi e un po’ di informazioni sul percorso che avremmo affrontato. Poi, nella penombra della maestosa cattedrale dedicata a Notre-Dame, costruita su un sistema eccezionale di terrapieni per fare in modo che una facciata si trovi molti metri più in basso dell’altra, era finalmente comparso San Giacomo (oppure Saint Jacques o Santiago, come preferite), ai piedi della cui statua ardevano, nel silenzio della serata, decine di candeline a testimoniare un particolare legame tra la cittadina francese e la lontana Compostela.

20220203_Saint Privat d Allier

Da Le Puy-en-Velay a Saint-Privat-d’Allier: 24 chilometri, sei ore

Dopo una cena piacevole trascorsa ammirando la luce del tramonto sulla facciata della cattedrale, il primo giorno di cammino inizia sotto un cielo grigio e minaccioso, dopo una lunga e nervosa attesa per il furgone del fornaio nella sala delle colazioni dell’ostello. Lasciata la vallata di Le Puy con una discreta salita, il nostro sentiero – i francesi preferiscono indicarlo con il nome di GR65 invece che come Cammino di Santiago – costeggia i resti di antichissimi crateri vulcanici e poi si affaccia dall’alto sulle gole della Gazelle, dove scorre il torrente Roche.

Mentre lo ammiriamo, cercando di superare con l’entusiasmo dei neofiti un vasto gruppo di signore con zaini minuscoli, inizia a piovere piano. Man mano la pioggia aumenta fino a spazzare via le signore e mentre sostiamo in una specie di gazebo sgocciolante per un caffè mediocre ci rendiamo conto che ci sarà poco da fare: l’estate del 2014 verrà ricordata universalmente come una delle più piovose di sempre. Intanto i paesi scorrono uno dopo l’altro (Saint-Christophe, poi Montbonnet, preceduto dalla chiesa di San Rocco e seguito da un bar ristorante dedicato a Santiago) e dunque, sempre sotto la pioggia, scendiamo in direzione di Saint-Privat-d’Allier.

Dopo circa sei ore di cammino molto umido, poco dopo il nostro arrivo nel rifugio locale la pioggia smette di cadere e il sole, davanti alla chiesetta nel centro della piccolissima rocca del paese, invita a una visione ottimistica del futuro, confermata da una buona cena con tante salsicce e patate. A differenza di quel che succede in Spagna, scopriremo che lungo la via di Le Puy non esistono ostelli o albergues ma una serie di rifugi e pensioni (dove la prenotazione è vivamente consigliata) che sono comunque dotati dei timbri da apporre sulle credenziali di chi ha deciso di comportarsi da pellegrino tutto d’un pezzo.

20220203_Arrivo a Saugues

Da Saint-Privat-d’Allier a Sauges: 19 chilometri, cinque ore

Anche i camminatori francesi sono diversi dagli spartani peregrinos in terra di Spagna: qui quasi tutti passeggiano per uno o due giorni, magari accompagnati da una macchina, e l’idea della lontanissima Santiago non sembra sfiorare quasi nessuno, fatta eccezione per una coppia di simpatici neozelandesi che ci confessano di voler giungere fino in Galizia. La mattina, sempre sotto un cielo plumbeo, una discesa di circa un’ora e mezzo ci porta fino alle rive dell’Allier, attraversato da un ponte di ferro progettato da Eiffel in persona, e al paese di Monistrol, dove spiego ai neozelandesi che in Francia, prima di entrare in un caffè, bisogna andare al panificio più vicino per dotarsi degli immancabili croissant.

Pian piano il cielo schiarisce e una salita molto panoramica, superata la cappella in parte scavata nella parete e dedicata a Maddalena, ci porta nuovamente con una discreta salita su un altopiano dove appaiono per la prima volta i segni della presenza di un grave pericolo che non avevamo messo in conto. Cartelli apparentemente spiritosi certificano infatti che stiamo entrando nell’habitat ideale della Bestia del Gévaudan.

Cioè di un lupo grande come una mucca e dotato di innumerevoli denti aguzzi che, a cavallo tra il 1746 e il 1748, uccise proprio in questi paraggi più di centotrenta persone nonostante imponenti battute di caccia e l’invio in zona, da parte del re Luigi XV, di numerosi drappelli di dragoni e moschettieri. Ripresa la via, mentre un po’ di pioggia finalmente rinfresca il clima che rischiava di diventare afoso, ci fermiamo per mangiare in una radura e spesso, tra una battuta e l’altra, noto che ognuno di noi lancia occhiate preoccupate al folto del bosco preferito dal bestione divoratore di passanti.

Secondo un libretto consultato in merito sembra che si tratti di un criptide, ossia un animale leggendario ma di cui mancano prove certe. Discesi nuovamente dall’altopiano verso le case di Saugues, scopriamo che proprio qui è stato allestito un museo specialissimo dedicato alla Bête che, appena lavati e asciugati, corriamo ad ammirare. Pupazzi di stoffa, sangue di conserva di pomodoro e spari nel buio, urla agghiaccianti da altoparlanti nascosti ed effetti un po’ datati ci conducono attraverso la storia della bestiaccia uccisa da un tale Jean Chastel che, sperando in una più che dovuta ricompensa, fece imbalsamare in fretta e furia la carcassa e la portò al re a Parigi. Ma il volubile monarca – evidentemente occupato con signore affascinanti come Madame de Pompadour – non era più interessato alla vicenda e non lo ricevette neppure; la salma dell’animale, male imbalsamata, iniziò presto a emanare un odore intollerabile e fu quindi bruciata.

 

202200203_Chaseaux

Da Saugues a Les Faux: 27 chilometri, sei ore e mezzo

Dopo una piacevole notte – nonostante una cena esagerata e decisamente inadatta a un vegetariano – la mattina è sgocciolante e nebbiosa. In un’atmosfera degna della Scozia entriamo in una foresta fradicia dove minute indicazioni indicano sentieri fangosissimi che si dirigono verso pietre celtiche non ben identificabili; poi, dopo circa tre ore dalla partenza, raggiungiamo la fattoria del Falzet. Si tratta di un fienile un po’ maleodorante ma asciutto, trasformato in un posto di ristoro pieno di gatti, cani e probabilmente frotte di topi, ma anche di caffè, tè, torte e panini.

Il tratto seguente ci conduce prima attraverso una foresta dove incrociamo un gruppo di ragazze a cavallo completamente zuppe e sconsolate, poi sull’altopiano spettacolare del Domaine du Sauvage, al cui centro una fattoria fortificata medioevale, grigia e imponente, ospita un ostello. Noi però, nonostante qualche piccolo e ricorrente problema alle giunture di Giacomo, proseguiamo ancora fino alla chiesetta di Saint Roch e poi a Les Faux, dove una pensione ci attende con una doccia calda e ogni ben di Dio da mangiare.

20220203_segnaletica indicante alloggi per viandanti a Les Estrets

Da Les Faux ad Aumont-Aubrac: 21 chilometri, sei ore e mezzo

Dopo tre giorni di cammino e circa 70 chilometri percorsi, finalmente la mattina del giorno seguente splende il sole. Anche se noi tutti lo consideriamo un gesto di scarso fair play, Giacomo ha spedito il suo zaino verso la meta di stasera. Il cammino procede tra boschi e macchia prima di scendere fino a Saint-Alban sulla cui chiesa, che ammiriamo mentre assaggiamo caffè e pasticcini accoccolati intorno a un tavolino all’aperto, brilla al sole un segnavento dorato in forma di lupo antropofago. Come sempre è accaduto in questi giorni, il percorso scende in un fondovalle per superare un corso d’acqua e poi risalire immediatamente sull’altopiano seguente.

Al termine di uno spuntino tra le case di Les Estrets, il nostro amico malridotto dimostra l’importanza di chiamarsi Giacomo se si è diretti verso Compostela: appena alza una mano per segnalare che gradirebbe un passaggio, ecco che una macchina di lusso inchioda a un metro di distanza, lo sportello si apre con un soffio di invitante aria condizionata, e poi scompare lasciandoci soli sull’ennesimo altopiano assolato che conduce ad Aumont-Aubrac. Pioggia battente, bestie feroci, salite e discese.

Tra i temi clou durante un viaggio in queste terre remote rimane però da citare l’aligot. La sera, durante la cena nella piacevole pensione dei Sentiers Fleuris, il padrone di casa mescola per ore in un pentolone toma, aglio e patate fino a che, con un ultimo volteggio da maestro, fa filare dalla pentola un nastro fumante di formaggio che poi taglia a pezzetti e ci scodella su piatti con pezzetti di carne di contorno. Sapore eccezionale, temperatura spaventosa e digeribilità media: la notte trascorre con alcuni momenti d’imbarazzo, soprattutto per chi ha più anni della media.

20220203_Cappella della Bastide

Da Aumont-Aubrac a Nasbinals: 27 chilometri, sette ore

La meta fondamentale del quinto giorno è indicata da tutti qui in paese (compresa la barista del Café du Maire, cioè il bar del sindaco) come il ristoro di Régine, a una decina di chilometri da qui, in località Les Quatre-Chemins. Cammina cammina, dopo aver superato la chiesa di Chaze de Peyre e la piccola cappella della Bastide, finalmente la meta si materializza con una serie di tavolini coperti da ombrelloni rossi su un’aia piena di polli festanti e gatti addormentati tra cui si aggira la gentile proprietaria, sorridente e magra come uno stecchino. Segue un altopiano sempre più brullo e lunare, costellato di enormi pietroni e di migliaia di mucche marroni, e segnato da enormi fattorie molto lontane tra di loro.

Con una leggera salita superiamo il pietrone più grande dell’intero circondario, quello del Rocher du Loup, che non sappiamo però se sia dedicato alla Bête oppure a dei lupi feroci sì, ma un po’ più normali. Poi ricordiamo di aver letto che oggi, 1° agosto 2014, ricorre il tragico anniversario della mobilitazione generale del 1914 che in Francia strappò centinaia di migliaia di uomini e ragazzi ai loro paesi per gettarli nella mostruosa fornace della Grande Guerra.

E viaggiare con due storici come Gaetano e Federico aiuta molto nella ricostruzione delle vicende, anche minute e secondarie, del tragico conflitto. Mentre sediamo al tavolo di un bar di Rieutort d’Aubrac, cercando di riparare i danni causati dal sole che ci ha ustionato solo la parte sinistra del collo e il braccio corrispondente, s’iniziano a sentire campane in lontananza che suonano a martello, accompagnate dalle sirene di fabbriche, segherie e fattorie che tutte insieme lanciano al cielo suoni di cordoglio. Poi, con un’ultima discesa, planiamo fra le case di Nasbinals dove il monumento ai caduti è coperto di bandiere e corone di fiori. Sulla piazza davanti al ristorante incontriamo nuovamente i nostri amici neozelandesi e scopriamo che, in soli quattro giorni di cammino (in realtà hanno viaggiato anche in bus e taxi) sono già riusciti a storcersi un paio di caviglie e a slogarsi una spalla. E pensare che a loro mancano solo 1.400 chilometri per arrivare alla meta…

Con grande dispiacere, a questo punto, non resta che passare ai titoli di coda che comprendono un viaggio serpeggiante in furgone fino a Rodez, paella con frutti di mare per tutti i più giovani al mercato, un treno verso la rossa Tolosa e una cena a base di cassoulet in grado di azzoppare per giorni interi un giovane elefante. Per poi chiudere alla sala delle partenze dell’aeroporto tolosano di Blagnac, con le sue gigantesche nurseries per decine di colossali cuccioli di Airbus appena fabbricati. Seduto vicino al finestrino del mio aereo diretto a Roma noto con tenerezza tre aerei vicini ai margini del terminal: uno è diretto a Dublino, uno a Londra, uno a Parigi. Il nostro sodalizio si è di nuovo sciolto e il viaggio per ora è finito ma la strada ormai è aperta e conosciuta, mentre le credenziali con tutti i timbri delle nostre tappe possono riposare per qualche mese, in attesa di una seconda puntata.

————————–

In Francia hai a disposizione campeggi scontati grazie alla tessera CKE del PLEINAIRCLUB!

Tutti gli itinerari di PleinAir in Francia li puoi leggere sulla rivista digitale sul pc, sul tablet o sullo smartphone. Con un anno di abbonamento a PLEINAIR (11 numeri cartacei) hai a disposizione gli inserti speciali, la rivista digitale e l’archivio digitale dal 2015 (con gli allegati). Con l’abbonamento a PleinAir ricevi i prossimi numeri comodamente a casa e risparmi!

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio