Al centro del Medioevo

Alle porte di Siena, i colli della Montagnola e il territorio di Sovicille conservano un patrimonio di architetture storiche fra i più densi di tutta la Toscana. Una piccola avventura fuorirotta tra sentieri immersi nei boschi e strade bianche percorse nei secoli passati da pellegrini e viandanti, per ritrovare la dimensione e le sorprese del viaggio a ritmo lento.

Indice dell'itinerario

Le campagne ad ovest di Siena non godono della fama di tanti altri luoghi della Toscana: eppure, stando a varie fonti, qui c’è la massima concentrazione di pievi, abbazie, eremi e castelli della provincia. Non siamo nel Chianti vinicolo che d’autunno si veste d’oro e di rosso, o nelle deserte ma fotogeniche Crete Senesi; questa è una zona modesta fin dal nome, Montagnola, e forse anche per tale ragione finisce con il ritrovarsi esclusa dagli itinerari turistici più battuti. Si tratta di alture dal profilo orizzontale, con lievi pendenze, che solo qua e là superano i 600 metri di quota e si vestono di fitti boschi che precludono ogni visuale; ma basta spostarsi poco più in basso per ammirare vasti panorami dalle residenze feudali e da agglomerati di case talmente piccoli che non si possono chiamare paesi.
A parte le presenze di età preistorica, accertate in una decina di località, e poi di Etruschi, Romani, Bizantini e Longobardi, la Montagnola si sviluppò in pieno Medioevo, suddivisa tra le diocesi di Siena e di Volterra. A quell’epoca risalgono conventi e cappelle rurali animate da frati bonificatori, romitaggi circondati da una natura quasi impenetrabile, residenze feudali dalla rude architettura con torri massicce e squadrate, casette raggruppate come per farsi coraggio in tempi bui. Oggi nei paesi che si trovano lungo le strade principali prevale l’aspetto moderno, mentre i piccoli centri arroccati sono rimasti quelli di un tempo e nell’insieme la zona ha conservato un aspetto severo ed essenziale. Poche le opere rinascimentali del grande architetto Baldassarre Peruzzi (1481-1536), che fu profeta in patria perché nato ad Ancaiano, uno dei comuni del comprensorio. Più tardi, caduta la Repubblica di Siena nel 1555, subentrò la signoria dei Medici che considerarono la zona poco interessante: pertanto si fermò lo sviluppo economico, architettonico e artistico, se si eccettua qualche rarissimo esempio di classicità del Rinascimento e di colorata fantasia barocca. Sarà per l’impiego dei materiali, ma anche molte costruzioni relativamente recenti sembrano antiche, tanto sono semplici e ben amalgamate con l’ambiente, così come si è conservata intatta la struttura dei minuscoli centri abitati.
A dispetto di tanta modestia, il territorio si presenta vivace e in ogni direzione si vedono case coloniche e borghetti perfettamente inseriti nel paesaggio naturale. I corsi d’acqua mantengono un valore paesaggistico che a maggior ragione riguarda il più importante di essi, il Merse: pur vittima di uno sventurato caso di inquinamento in anni recenti (ma ne è stata già annunciata la bonifica che dovrebbe riportarlo all’antica limpidezza), il fiume procede in un continuo arzigogolare alla base delle colline, lontano dal traffico stradale, attardandosi in giravolte prima di sfociare nell’Ombrone dopo una discesa di 70 chilometri. Il suolo si è costituito in parte nell’era paleozoica, circa 270 milioni di anni fa, ma in prevalenza è più recente e si compone di calcari e marmi; la terra delle campagne, ricca di ferro e bauxite, è di un rosso scuro, pesante, quel colore a cui i pittori hanno dato appunto il nome di terra di Siena. Ma sono i boschi la vera ricchezza naturalistica della Montagnola, con tutte le essenze mediterranee quali pini, lecci, querce, carpini, cerri, ginepri, roveri, cipressi e, sui versanti più freschi, anche aceri e faggi: una riserva di legna, frutti, paesaggio e ossigeno, come pure un rifugio per la fauna selvatica, dal cinghiale allo scoiattolo alla nutria, che i più fortunati e pazienti potranno scorgere là dove i corsi d’acqua sono più solitari.
Ci sono momenti in cui, se non fossimo a bordo di un moderno veicolo a motore, ci sembrerebbe di viaggiare nel Medioevo; e questa sensazione la provano i trekker che seguono le orme degli antichi pellegrini. Le strade secondarie sono quasi sempre bianche, larghe e pianeggianti dove si può, strette e a schiena d’asino quando il terreno si fa più movimentato, così da richiedere particolare destrezza nella guida e da non essere praticabili se non con mezzi di piccole dimensioni e grande agilità. Ma anche sui percorsi più accessibili si prova il senso dell’avventura, in mancanza di paracarri e di segnaletica, su tracciati che procedono nel folto degli alberi e sembrano non aver mai fine, perché si viaggia molto lentamente; i bivi sono talvolta indicati solo con il nome di uno sconosciuto casale, che non si trova sulla carta. E dopo tanto ansioso andare, si accoglie quasi con sollievo l’apparizione di un vero cartello stradale.

Borghi, pievi e castelli
Da Siena la provinciale 73 per Massa Marittima sale nella località Costalpino; alla prima indicazione a sinistra per Volte Alte subito ci si gode l’ebbrezza di una strada sterrata ma ben battuta, ampia e spesso ombreggiata. Dopo un paio di chilometri appare Villa Chigi Farnese, e che l’architetto fosse il famoso Baldassarre Peruzzi è fuor di dubbio a giudicare dallo stile sobrio e sereno. Altri 3 chilometri e si gira a sinistra per Ampugnano, paesino del XII secolo con due pozzi medioevali. Proprio accanto all’antico centro è l’aeroporto del capoluogo, un tempo militare e ora commerciale.
Sulle lievi ondulazioni della provinciale 195 si raggiunge San Rocco a Pilli, il centro più popoloso sul limite collinare della piana agricola, relativamente tranquillo da quando la vicina statale 223 che collega Siena a Grosseto ha eliminato il transito da quello che era un percorso etrusco. Collocata su un alto poggio, la medioevale pieve di San Bartolomeo fu ricostruita nel primo ‘800; l’altura è stata però rovinata da un condominio grosso e villano. Deviando a sinistra all’inizio del paese, in un paio di chilometri si raggiunge San Salvatore a Pilli che prende il nome dalla chiesetta altomedioevale, risistemata con arredi barocchi, in cui si conserva una tela del senese Ventura Salimbeni.
Riguadagnata la superstrada per Grosseto, dopo un paio di chilometri si devia sulla destra per un tranquillo paese dal curioso nome di Orgia, valicando il Merse in uno dei suoi tratti più larghi poco prima dell’abitato. Orgia, citata dall’VIII secolo, ha un castello e una chiesa dedicata a San Bartolomeo, molto venerato in zona. In località Borgolozzi si trova il Museo Etnografico del Bosco e della Mezzadria, recentemente rinnovato nell’allestimento. Scesi alla base del poggio su cui sorge il paese, una strada un po’ sassosa che tocca le rive del Merse conduce sotto il castello di Capraia, che svetta suggestivo e slanciato al di sopra della fitta macchia; salendo si scoprono i resti del piccolo borgo.
Si ritorna sui propri passi fino al ponte sul Merse e da qui se ne risale la valle, seguendo i canali costruiti già nel Medioevo per dare energia ai mulini della zona. All’ingresso di Brenna (il cui toponimo deriva dal fatto che qui si accamparono i Galli guidati da Brenno nella loro discesa verso Roma) il Mulino del Pero era una gualchiera di follatura della lana con un’alta torre che fungeva da essiccatoio. Un cartello indirizza verso il Parco dell’Alto Merse, che dista 500 metri e che sarebbe un luogo ideale per il picnic, se non fosse per certe desolanti abitudini dei soliti gitanti domenicali. Brenna è anche il punto di partenza del sentiero 402 che prima costeggia il Merse e poi sale ai ruderi di Castiglion Balzetti, più noto come Castiglion Che Dio Sol Sa: un nome che è tutto un programma, tanto è isolato il minuscolo borgo con castello e chiesetta.
Puntando ora verso nord, a sinistra il panorama è chiuso da un lungo rilievo che culmina nel Poggio Siena Vecchia, la cui quota (525 m) è notevole per la zona. La strada procede sul bordo di un pianoro che fu palude, e quindi i paesini se ne stanno un po’ a mezza costa. Ai piedi del monte c’è Stigliano, formato da diversi gruppi di edifici rurali su cui svetta la mole di un semplice, squadrato castello. Un chilometro più avanti, distogliendo lo sguardo dall’unica area industriale della zona, appare l’insediamento arroccato di Torri, che non basta ammirare da lontano. Per salirvi con il veicolo bisogna però tener presente un accorgimento: all’altezza delle indicazioni per il paese si prende la strada sulla destra, che passa fra i campi e conduce al parcheggio in alto (andando dritti si rischia invece di rimanere incastrati nelle anguste viuzze). Torri è puro Medioevo: mura, archi, il vecchio forno e soprattutto il millenario monastero della Santissima Trinità e Santa Mustiola, i cui monaci furono protagonisti della prima bonifica del padule. La pieve domina il paese, centro religioso della zona, ed ecco infatti lo stemma papale che introduce a una grande chiesa. Sul portale laterale, di evidente richiamo gotico, la decorazione scultorea dell’architrave è assai raffinata; ma la parte più preziosa è il chiostro, il cui primo ordine romanico su esili colonne con splendidi capitelli ne regge altri due in spessa muratura, il tutto nel gioco di colori delle pietre bianche e nere e dei mattoni rosati.

Salendo alla Montagnola
Con origini che si perdono nell’XI secolo, Rosia ebbe grande sviluppo nell’800 grazie alla posizione strategica sulla strada che unisce Siena alla Maremma. L’abitato si sviluppa dal piano al monte, dove culmina in un rude castello; di antico resta anche la pieve di San Giovanni Battista, a cui nel XIV secolo fu invertito il senso della chiesa, come conferma l’attuale facciata priva di rosone. Ciò rende l’interno piuttosto buio, ma si apprezza il fonte battesimale del 1332, dall’originale forma rettangolare. L’importanza della struttura è comunque espressa dall’alto campanile, che in quattro ordini sovrapposti sale da monofore a bifore, trifore e quadrifore. Da qui, chi si interessa di storia degli Etruschi può fare una deviazione di 2 chilometri per visitare la necropoli di Malignano, dove sono state scavate diciotto tombe di cui una sola, la n. 2, ha più locali; i corredi funebri sono conservati al Museo Archeologico Nazionale di Siena.
Dirigendosi verso ovest sulla provinciale 73, dopo poche centinaia di metri s’incontra il Ponte della Pia, che resiste da prima del Mille con la sua unica arcata. Il nome stavolta deriva da quella Pia de’ Tolomei – ricordata da Dante nel V canto del Purgatorio – che vi transitò in viaggio per l’esilio maremmano, dove avrebbe trovato la morte per mano del marito. In quel punto la vecchia strada medioevale attraversa il torrente Rosia, diventa una mulattiera e si inoltra nella Riserva Naturale Alto Merse; si sale per 600 metri e a un bivio privo di indicazioni si converge a U verso sinistra per raggiungere l’eremo di Santa Lucia, che conobbe particolare floridezza nel XIII secolo ma venne soppresso dalla diocesi alla fine del ‘500. Tra i ruderi spiccano gli eleganti archi a sesto acuto della sala capitolare.
Dal Ponte della Pia si percorre lo stretto fondovalle del Rosia costeggiando la Tenuta di Spannocchia e giungendo sotto i resti del castello di Montarrenti, posto su un roccione a sentinella dell’importante incrocio con la provinciale per la Valdelsa, che seguiamo brevemente fino al bivio per il nascosto borgo di Tonni. L’immancabile pieve romanica, intitolata ancora una volta al popolare San Bartolomeo, è arricchita da una bel fonte battesimale. La strada bianca punta a nord mantenendosi sui 400 metri di quota; qualche stradello devia per cascine isolate, e non si incontra nessuno mentre si passa al versante orientale della Montagnola. Da qui, ritrovato l’asfalto, si sale ancora un poco fino a Tegoia, aggrappata al monte e con scarso spazio di manovra, ma con un panorama emozionante: adagiata su colli lontani c’è Siena, sulla quale si alzano torri e campanili. Con un veicolo di piccole dimensioni si può procedere ancora, sperando di non incrociare nessuno; in caso contrario, meglio godersi una passeggiata di 2 chilometri scarsi e raggiungere l’abitato di Molli a quota 580, il più alto belvedere della Montagnola. Proprio nelle vicinanze della pieve di San Giovanni Battista, il cui campanile dalla tozza sagoma era in origine una torre, alcune sorgenti danno origine all’Elsa.

Intorno a Sovicille
Da Tegoia si scende di 200 metri in poco più di 5 chilometri, raggiungendo Sovicille. La funzione di centro principale del comprensorio ha comportato un certo sviluppo: la parte moderna conta oggi circa 9.000 abitanti che abitano perlopiù nei nuovi palazzi, in posizione più bassa rispetto al borgo antico, mentre la vecchia Sovicille svetta su un rialzo collinare con il suo profilo ellittico, immutato nei secoli. Lunga circa 150 metri, si presenta dal versante meridionale con l’originale facciata del settecentesco Palazzo Nuti-Palmieri, oggi Lechner, la cui sagoma curvilinea è dovuta al fatto che venne costruito sul più esterno dei giri delle mura, utilizzate anche come fondamenta per altre case. Per via dei numerosi assedi subiti nel Medioevo, non si trovano tracce degli antichi insediamenti romani e longobardi; alcuni edifici del ‘500 sono in Via Valfonda e in Via Stretta, con interventi architettonici del Peruzzi. Nella trama del tessuto urbano molto è stato distrutto dall’800 in poi, per inserire nella piazza anche il Municipio. La piccola chiesa di San Lorenzo, risalente al ‘300 ma anch’essa ampiamente rimaneggiata nel XIX secolo, dipendeva dalla pieve di San Giovanni Battista presso Ponte allo Spino, nella piana vicino a Sovicille, che è costruita in stile romanico ma vanta un possente campanile lombardo e presenta un chiostro che collega la chiesa a un grande edificio vescovile, caratterizzato da tre eleganti bifore gotiche.
Verso la collina, punteggiata da minuscoli centri, si distingue il Palazzaccio di Toiano, severo fortilizio senese del XIII secolo. Poco distante, trovando la stradina che sale su un piccolo rialzo, è la pieve di San Giusto e Clemente a Balli, citata già nell’XI secolo: la facciata, unita a una malconcia casa colonica, non lascia immaginare i colori dell’interno, la bella abside e il pozzo. Si prosegue fino al castello di Poggiarello, edificio militare trecentesco abbellito due secoli dopo dal Peruzzi, il quale era nato poche centinaia di metri più ad ovest nella località di Ancaiano. Fu proprio lui a ideare – ma non a veder realizzata – la chiesa di San Bartolomeo, che venne costruita solo alla metà del ‘600 per volere di papa Alessandro VII. Siamo nei possedimenti della ricca dinastia senese dei Chigi, cui apparteneva lo stesso pontefice; poco sopra è la Villa Cetinale, progettata da Carlo Fontana con una classica loggia in facciata, spettacolari cipressi e ulivi sul retro e un parco detto della Tebaide. Dove il colle prende a salire la prospettiva dei giardini si raccorda alla scalinata, purtroppo mal tenuta e rischiosa, che in 140 metri di dislivello conduce al Romitorio, una costruzione di quattro piani risalente al 1716: in questo luogo isolato i cenobiti ospitavano infermi che potevano godere dell’aria buona e di un rasserenante panorama. All’edificio si arriva più comodamente se dall’ingresso della villa si imbocca verso destra la strada bianca che costeggia il muro di cinta e giunge sullo spiazzo di una fattoria, dove si può posteggiare e salire a piedi per una viuzza che in circa 800 metri porta al complesso. Se invece dalla fattoria si prosegue sulla carrozzabile in salita, in breve si incontra un bivio con una statua e qui si gira a sinistra, continuando per un chilometro e mezzo circa fino a svoltare ancora a sinistra per la pieve di San Giovanni Battista a Pernina, nascosta tra i boschi. Dal complesso, la cui torre campanaria alta più di 20 metri è leggermente discosta dalla chiesa, uno stradello quasi in piano fino al cimitero e poi un viottolo conducono di nuovo al Romitorio in mezzo chilometro di passeggiata.
Tornati a ritroso fino al bivio di Pernina, si sale verso nord e dopo 200 metri si ritrova l’asfalto. Ancora poche centinaia di metri e appare sulla destra la Fattoria Celsa, un grande castello trecentesco (oggi di proprietà privata e perciò visibile solo da qualche distanza) che il Peruzzi trasformò in maestosa villa con annessi grandi edifici rurali, giardino all’italiana e ampio parco; ulteriori interventi novecenteschi le hanno dato un aspetto singolare, con torrioni merlati ricoperti da piante rampicanti.
E siamo ormai alla fine del viaggio, con il capoluogo ormai vicino. Dopo 7 chilometri di curve su un buon fondo stradale si incontra la deviazione per l’eremo di San Leonardo al Lago, così chiamato perché qui si trovava uno specchio d’acqua prosciugato già nel Medioevo. La semplicissima e anonima facciata non tragga in inganno: all’interno si trova un tesoro di affreschi del ‘300 fra cui alcune opere di Lippo Vanni, allievo di Ambrogio Lorenzetti. L’incontro con questa preziosa pittura conclude l’itinerario, e quasi dispiace lasciare le deserte strade bianche della Montagnola: di fronte, a meno di 10 chilometri, si ritroveranno la Porta Fonte Branda e la grandiosità di Siena. l

Testo e foto di Pietro Cipollaro

PleinAir 452 – marzo 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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