A tu per tu con l'orso

Plantigradi, cervi, bisonti, marmotte, pellicani e foche. Paesaggi infiniti di roccia scolpita e di boschi monumentali, di sabbie desertiche e di spiagge oceaniche. Nove tappe di natura vera nel grande Ovest americano: in tenda, e con i bambini.

Indice dell'itinerario

L’orso compare all’improvviso nel folto, tra un boschetto di pini e di cespugli intricati. Stiamo tornando a piedi verso Lodgepole, l’area di campeggio più bella del Sequoia National Park, un po’ delusi perché le cascate di Tokopah erano quasi in secca: solo un filo d’acqua scendeva tra grandi lastroni di granito. Abbiamo passato la mattina girovagando tra le enormi sequoie della Giants’ Forest, fermandoci a bocca aperta ai piedi di quella dedicata al generale e presidente Ulysses Grant, che raggiunge gli 80 metri di altezza. La valle è splendida e selvaggia, ma il cielo è grigio e non promette nulla di buono.
«Non ci posso credere, un orso!» esclama all’improvviso Niccolò, 7 anni, mentre camminiamo cantando. Alzo gli occhi e lo vedo, a 50 metri di distanza: è un orso nero, non un grizzly (una specie che in California è scomparsa da tempo). Le regole del National Park Service imporrebbero di allontanarsi, ma questa è un’occasione straordinaria. Appena l’animale scompare in un valloncello ci avviciniamo senza lasciare il sentiero per riuscire a vederlo di nuovo. Mentre sale per tornare a cercare delle bacche ci muoviamo ancora una volta e poi, alla faccia dei regolamenti e dei ranger, iniziamo a camminare fuori dal tracciato. Passo dopo passo, tenendo i bambini alle nostre spalle, ci spostiamo sulle foglie cadute e sul muschio scavalcando un grosso tronco caduto. L’orso è lì, oltre un masso, e continua a mangiare tranquillo. Solo quando arriviamo a una quindicina di metri fa uno sbuffo, si gira e si allontana senza nemmeno affrettarsi. In pochi istanti non si vede già più, ma il quarto d’ora che ci ha regalato resta uno dei ricordi più belli del viaggio.
Quello con il grande mammifero è solo uno dei tanti incontri ravvicinati con la fauna dei grandi parchi dell’Ovest: più che dalle cascate, dalle rocce, dai boschi, dai fuochi da campo e da centinaia di chilometri di scorrevoli interstates, il nostro tour nella natura d’America è stato scandito dagli avvistamenti di animali. A Yellowstone, dove arriviamo la prima sera, stravolti dopo 600 miglia di strada, un ingorgo di bisonti sull’asfalto fa schizzare l’entusiasmo alle stelle; e nei tre giorni successivi il conto dei bestioni al pascolo sale fino a 250 unità. Poi ci sono i cervi che brucano sui prati, i castori che nuotano nello Yellowstone River, i pellicani che volano a bassa quota sui laghi. Manca all’appello solo l’alce, ma non si può avere tutto nella vita…
A Monterey, sulla costa della California, le vasche di uno dei più begli acquari d’America ospitano pesci, mammiferi e pinguini. Dalla terrazza affacciata sull’Oceano Pacifico, anche senza binocolo si scoprono tra gli scogli foche e lontre marine che nuotano in libertà; se avessimo un po’ più di tempo, si potrebbe noleggiare una canoa e andarle a vedere da vicino. Scendendo a sud in direzione di Los Angeles, sulla spiaggia di San Simeon ci fermiamo a guardare una famiglia di elefanti marini: mentre le femmine pisolano, i maschi adulti e i giovani si sfidano in accaniti combattimenti sulla battigia e i cuccioli nati da pochi mesi scappano per non essere travolti.

Il giorno del condor
Il Grand Canyon, celebre per le rocce plasmate dall’erosione, da qualche anno è diventato il parco degli avvoltoi. Giunti quindici anni fa sull’orlo dell’estinzione, gli ultimi condor della California sopravvissuti in libertà sono stati catturati, trasportati in Arizona e lasciati a moltiplicarsi per qualche anno nelle voliere del North Rim, la sponda settentrionale e più tranquilla della forra più famosa del pianeta: poi sono stati liberati, e oggi offrono uno spettacolo straordinario. Di pomeriggio, tra il Grand Canyon Village e il belvedere di Yavapai, il viottolo che corre sul bordo meridionale dell’immenso vallone è gremito come il lungomare di Rimini ad agosto. I turisti che arrivano da ogni parte del mondo (europei, giapponesi e ovviamente americani provenienti dagli angoli più remoti degli States) affollano i negozi di souvenir e i fast food, con i bambini che si rincorrono urlando e chiedendo a gran voce un gelato. Nella calca, i pochi e sudati escursionisti che sbucano dal sentiero che collega il South Rim con il fondo sembrano marziani appena sbarcati sulla Terra.
Ma i condor non temono certo la folla: uno alla volta salgono sulle correnti d’aria calda verso il bordo del canyon, sbucano all’improvviso sulla gente, planano di nuovo verso il vuoto in cerca di qualcosa da mangiare, e le ali che raggiungono i 3 metri di larghezza provocano uno spostamento d’aria impressionante. Sporgendosi dal belvedere, si scoprono altri enormi avvoltoi appollaiati sulle rocce.Sembra uno spettacolo costruito dall’uomo, ma le cose non stanno così. Spiega Michael, il ranger che tiene ogni mattina alle 10 una conferenza sul ritorno della specie: «Nessuno degli alberghi del South Rim ha mai provato a lasciare del cibo per attirare i condor, e d’altronde è severamente vietato. La realtà è che sono degli animali curiosi, vedono il movimento e volano intorno per osservare, ma non ottengono molto. In cent’anni, nessun mulo utilizzato per le escursioni è mai precipitato dal sentiero. Ogni tanto invece qualche turista si agita un po’ troppo e cade. In media, su un milione di visitatori ogni anno, una o due persone perdono la vita in questo modo. Nessuno, però, è stato lasciato in pasto agli avvoltoi» conclude con un sorriso il guardaparco.

Ambiente da vivere
Sarebbe riduttivo, certo, pensare che i grandi parchi degli Stati Uniti propongano solo l’incontro con gli animali. Tra le Montagne Rocciose e il Pacifico, dove la costa californiana offre candide spiagge incontaminate e boschi di conifere a picco sull’acqua, si incontrano fiumi e deserti, pareti di granito e cascate, archi e torri di arenaria che rendono straordinari i paesaggi dell’Arizona, del New Mexico e dello Utah. Yellowstone, oltre che per cervi e bisonti, stupisce per le sorgenti calde e i geyser tra i quali spicca lo straordinario Old Faithful, il Vecchio Fedele che erutta ogni due ore circa. A Sequoia si ammirano gli alberi più grandi del mondo, a Yosemite le più ardite pareti di granito. A Canyonlands o ad Arches il paesaggio è talmente irreale che sembra di essere su un altro pianeta. Nel parco nazionale del Grand Teton le vette, i laghi e i ghiacciai compongono un quadro alpino, nel quale un alce o un grizzly possono comparire in qualsiasi momento.
Ci concediamo anche qualche momento diverso facendo tappa prima a Las Vegas con le sue luci e i suoi monumenti fasulli (New York, Parigi, le Piramidi…) a 50°C all’ombra; e poi, naturalmente, a Los Angeles con la spiaggia di Santa Monica, Disneyland e le mille attrazioni di Hollywood. Ma la natura resta lo stimolo più importante: i grandi parchi d’America insegnano sia ai bambini che agli adulti come l’ambiente può e deve essere vissuto. In più di un parco il piccolo visitatore può ottenere il titolo di Junior Ranger, mentre in ognuno i ragazzi possono riempire questionari, partecipare a giochi guidati e, già che ci sono, migliorare il loro inglese. Ci sono sentieri per tutti i gusti, piste ciclabili, attività con i guardaparco, musei.
Chi trasgredisce le regole, però, viene severamente punito. Con l’orso di Sequoia ci è andata bene, ma a Yellowstone, insieme ad altre decine di persone, siamo stati allontanati dai ranger perché troppo vicini a un branco di cervi (l’indomani, non lontano da lì, Niccolò è stato severamente sgridato da un gruppo di visitatori perché aveva dato da mangiare a una marmotta). Più volte, sempre nelle aree popolate dall’orso, siamo stati ammoniti a non lasciar da mangiare nella tenda o nell’auto: in caso contrario avremmo rischiato, oltre a 500 dollari di multa, di avere sulla coscienza l’animale perché quasi tutti i plantigradi che si abituano all’uomo diventano pericolosi e finiscono per essere abbattuti dai ranger. Se lo nutri lo uccidi è uno slogan che non può non colpire.
A Canyonlands e ad Arches, accanto alle aree di campeggio, grandi cartelli spiegano come comportarsi in caso di attacco da parte di un puma: la prima regola è urlare, la seconda è prendere in braccio i bambini (è noto che i grandi felini aggrediscono di preferenza i cuccioli). Jacopo, 9 anni, ha reagito alla lettura con un sorriso, Niccolò ha invece preteso di dormire in tenda con me, abbracciandomi stretto per tutta la notte e lasciandomi solamente al mattino. E’ impossibile che questo viaggio nei parchi non resti nel suo cuore per molto tempo.

PleinAir 395 – giugno 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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