A tu per tu con l'aquila

Un viaggio invernale diverso da tutti gli altri? Ad offrirlo è lo spettacolo naturale dell'Hortobágy, il parco più grande dell’Ungheria, dove sono possibili emozionanti incontri ravvicinati con gli uccelli e altri animali che lo abitano o che vi trascorrono i mesi freddi.

Indice dell'itinerario

L’Hortobágy è la più grande prateria naturale continua d’Europa, e il parco nazionale che la protegge dal 1973 è la più estesa area protetta dell’Ungheria (circa 63.000 ettari, che arrivano a oltre 80.000 con le zone cuscinetto). Paradossalmente, però, l’andamento pianeggiante del terreno ha come sua prima conseguenza la difficoltà di fruizione. I visitatori che arrivano qui impreparati, infatti, si guardano intorno perplessi alla ricerca di qualcosa che non c’è, e proprio questo è il punto. Come raramente accade, almeno nel nostro continente, all’Hortobágy la vista può spaziare liberamente: nessuna collina o montagna, soprattutto nessun edificio arresta lo sguardo. E allora, come avvicinarsi a questa natura e come viverla?
La carta d’identità del sito, nessun dubbio, è da star dell’ambiente europeo. Estensioni di territorio quasi senza traccia di intervento umano non possono che ospitare una grande varietà di piante e animali, come confermano i numeri: nel parco e nell’area circostante sono presenti circa 340 specie di uccelli, la metà dei quali nidificanti. Ad attrarli sono boschi, pascoli, ambienti rurali ancora non ostili per la fauna, ma soprattutto le paludi e gli stagni che a Hortobágy ricoprono estensioni enormi per buona parte dell’anno, e alle quali si aggiungono le zone umide artificiali come le vasche per l’allevamento del pesce, che interessano circa 6.000 ettari di superficie.
Non è dunque un caso se questi luoghi assumono per il birdwatching un rilievo da vero e proprio santuario naturalistico. In ottobre lo spettacolo delle decine di migliaia di gru in volo sulla prateria attira appassionati da ogni parte d’Europa, così come nei freddi mesi invernali l’incredibile concentrazione di aquile di mare, che frequentano con regolarità i punti di alimentazione disposti per la gioia dei fotografi. Ma ogni habitat ha le sue specie tipiche, e da queste parti è facile – binocolo e manuale d’identificazione alla mano – dedicarsi ad osservazioni appaganti di autentiche rarità come il picchio rosso mezzano, l’oca lombardella minore, il frosone, l’otarda, l’aquila imperiale, il marangone minore, il piviere tortolino. Meno visibili, perché in prevalenza attivi durante le ore notturne, sono i mammiferi quali il cinghiale, la volpe, il capriolo (che fanno capolino anche al momento del crepuscolo), il citello, il gatto selvatico, la lontra.
Nel 1999 l’Hortobágy è stato dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità: la puszta, la pianura a steppa ungherese, è stata utilizzata dall’uomo fin dai primordi per farvi pascolare gli animali domestici. Così, anche molte razze di allevamento sono oggi una preziosità del parco, in pericolo d’estinzione come i loro parenti selvatici. E’ il caso ad esempio del maiale mangalica, della capra raczka dalle corna curiosamente ritorte, dei grandi buoi grigi, del bufalo e naturalmente del cavallo nonius, razza robusta e frugale che discende dall’omonimo stallone della cavalleria napoleonica, a quanto pare catturato in battaglia dagli austroungarici. A Máta, proprio a ridosso del villaggio di Hortobágy, si visitano le scuderie e si ammirano gli csikos, in abito tradizionale, nelle loro sorprendenti acrobazie.
Fattorie col tetto in cannuccia, pozzi a bilanciere, minuscoli villaggi sono i segni di una presenza umana antichissima, ma ancora oggi discreta. Il tempo ha cancellato buona parte delle testimonianze storiche, e gli stessi monumenti messi in evidenza dal sistema locale di promozione turistica – come il ponte a nove arcate o la vicina Csarda Hortobágy, nel paese omonimo – non offrono che un piccolo esempio della rete insediativa originaria.
Protagonista del viaggio è dunque l’ecoturismo sviluppatosi negli ultimi anni intorno a tanta ricchezza naturalistica, ancor più nei mesi lontani dalla stagione estiva, durante la quale il “mare d’erba” diventa una distesa rovente da cui fuggire in cerca di refrigerio. D’inverno, al contrario, la grande steppa torna ad essere un’attrattiva unica e spettacolare, anche grazie all’inventiva e alla serietà di alcuni giovani studiosi locali. Un invito a un’esperienza diversa da ogni altra, e non solo per gli appassionati: perché trovarsi a tu per tu con le aquile lascia tutti a bocca aperta.

A zonzo nel parco
Nella piana sconfinata di Hortobágy non esistono punti panoramici o luoghi ideali per il birdwatching itinerante. Si vaga in camper lungo rettilinei quasi infiniti, guardandosi intorno alla ricerca della fauna che si manifesta a seconda dell’esistenza di cibo, della presenza o meno di predatori e delle circostanze meteorologiche: esattamente come al Masai Mara, in Kenya, o nella pianura del Serengeti, in Tanzania. Alcune torrette in legno, ben visibili lungo le strade, offrono qualche punto di ripresa diverso per le foto e un’occhiata a più lunga gittata con il binocolo. Quanto ai sentieri, avventurarsi a piedi nella puszta può essere problematico d’inverno per via della neve o a causa del fango durante il disgelo; inoltre gli animali hanno gioco facile ad avvistare l’escursionista e ad allontanarsi. Ci vuole insomma un po’ di pazienza, ma le attese sono ben ripagate.
Fra un’uscita e l’altra, i paesi offrono alcuni motivi di interesse e la prospettiva di una pausa ristoratrice, tutt’altro che trascurabile durante la stagione fredda. Naturalmente è da non perdere la visita al villaggio di Hortobágy, centro di gravità dell’area, con una struttura dedicata ai visitatori del parco che offre materiale informativo, un piccolo negozio di souvenir e un’esposizione di flora e fauna. A pochi passi, oltre a un gruppo di negozi che espongono oggetti artigianali, si trova la Csarda Hortobágy, pittoresca locanda costruita nel 1699 e ampliata nel 1830 (era in restauro nel febbraio di quest’anno). E’ soprattutto qui che si fermavano a rifocillarsi i viandanti dei tempi passati, quando la grande piana richiamava da ogni dove i commercianti e gli allevatori con i suoi pascoli immensi e le grandi mandrie. Al di là della strada s’incontrano il Pasztormuzeum, museo sui pastori e sulla loro vita quotidiana, nonché il Korszin, edificio circolare con tetto di canne dedicato alla biodiversità del parco. Ancora a Hortobágy si trovano un centro dedicato alle già citate razze domestiche in via di estinzione e, un paio di chilometri a nord, il centro di allevamento dei cavalli nonius di Máta.
Quanto alle località più grandi dei dintorni, Balmazújváros non offre granché se non sistemazioni alternative a chi non è in camper, mentre Debrecen, il capoluogo della Grande Pianura Settentrionale, è la seconda città dell’Ungheria ed è sede di un’importante università nonché di monumenti di rilievo.

Natura in diretta
Da qualche anno una piccola ma significativa innovazione sta cambiando radicalmente le modalità di fruizione del parco da parte dei visitatori, specialmente di coloro che amano fotografare: si tratta della realizzazione di capanni speciali per l’osservazione ravvicinata degli animali. Al momento della nostra visita erano una quindicina, ma ce ne sono altri in progetto. Li ha installati un’agenzia specializzata locale (la Saker Tour), basandoli su un modello ideato dal fotografo ungherese Bence Máté. Cos’hanno di speciale queste strutture? Intanto sono parzialmente interrate, allo scopo di mimetizzarle il più possibile nell’ambiente orizzontale della puszta, sporgendo dal terreno per un metro d’altezza al massimo. Una stufa a gas è il complemento indispensabile per trascorrervi le gelide giornate invernali, ma la caratteristica decisiva è la presenza di vetri oscurati sulle ampie aperture: al fotografo sottraggono 1,3 diaframmi di luce, ma sono in grado di impedire agli animali la vista dell’interno.
I capanni – ognuno dei quali può ospitare tre persone – sono distribuiti in modo da coprire i diversi ambienti e quindi le varie specie di uccelli che li frequentano; ci sono quelli per le aquile, i più richiesti d’inverno, e poi quelli per le gru, per le otarde, per i passeriformi che vengono attratti da vasche di abbeverata e dispense che elargiscono semi di girasole e provviste di strutto e noci. Alcuni capanni mobili, installati alla bisogna, vengono collocati di stagione in stagione per riprese particolari in ambienti di breve durata temporale, come ad esempio uno stagno formatosi dopo piogge abbondanti.
Naturalmente, perché il trucco funzioni, gli animali non devono vedere nessuno entrare nel capanno: è quindi un’alzataccia quella per l’appuntamento notturno con gli operatori che, in fuoristrada, conducono fotografi e birdwatcher sul posto. Si ritornerà alla base solo al tramonto, dopo una giornata che quasi certamente avrà garantito appaganti osservazioni. Per trascorrere le lunghe ore nel capanno è ovviamente il caso di portare con sé cibo, bevande e generi di conforto, mentre per le necessità fisiologiche c’è un wc chimico.
Grazie ai vari accorgimenti descritti, gli animali non sospettano la presenza dei turisti all’interno di questi singolari rifugi e si lasciano ammirare da vicino, a volte quasi a tu per tu. Ogni dettaglio – il volo possente dell’aquila, due poiane che litigano per appropriarsi del pesce, una gazza che becca ripetutamente la propria immagine riflessa sul vetro – è come il fotogramma di un incredibile documentario vivente. E così l’Hortobágy si fa spettacolo: il grande spettacolo della natura.

Testo e foto di Giulio Ielardi

PleinAir 461 – dicembre 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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