Dott.sa Debora Rasio

Medico, specialista in oncologia medica, ricercatrice presso la Sapienza Università di Roma, nutrizionista Rai, Mediaset e La7, autrice dei bestsellers “Death by Medicine” -Axios Press; “La dieta non dieta” -Mondadori- e il recente “La dieta per la vita” -Longanesi, vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute

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Nel 2050 saremo 9 miliardi di persone a dividerci il pianeta. E avremo tutti fame e necessità oltre che diritto di soddisfarla. Ma abbiamo sin da oggi anche il dovere di interrogarci sulla sostenibilità di questa sfida, sia da un punto di vista alimentare, sia ambientale. Illuderci di poter continuare a sfruttare e inquinare la terra che coltiviamo, l’acqua con cui la irrighiamo e l’atmosfera con cui la nutriamo ci condurrà inevitabilmente a un duro bagno di realtà quando queste risorse non potranno più adempiere ai compiti ai quali Madre Natura le ha deputate. Non si tratta di scenari apocalittici evocati da mode, superstizioni o paranoie collettive, ma di un tema reale con il quale la scienza già si confronta poiché i dati di cui dispone glielo impongono. E’, ad esempio, stato recentemente pubblicato sulla quotata rivista scientifica internazionale “Nature Communication” uno studio molto approfondito sulle possibili alternative all’attuale sistema di produzione agroalimentare basato su coltivazioni intensive altamente inquinanti e, peraltro, insufficienti a garantire eque forniture di cibo all’umanità. Le risposte esistono, ma richiedono impegno al cambiamento da parte delle forze politiche, dell’industria e di noi consumatori che, se contiamo poco come singoli, come collettività siamo invece una forza in grado di operare cambiamenti profondi e potenzialmente rivoluzionari sull’economia di mercato.

OGNI RIVOLUZIONE HA UN PREZZO

Lo studio è stato condotto dai ricercatori del FIBl (istituto di ricerche europeo specializzato in agricoltura biologica), della FAO, dell’Università di Aberdeen, dell’Alpen-Adria-Universität Klagenfurt e dell’ETH di Zurigo. L’obiettivo di partenza è cercare un “piano B” con cui affrontare la crescita esponenziale della popolazione e il conseguente incremento del fabbisogno di cibo, terra, acqua e energia necessari a produrlo e dei veleni rappresentati dai pesticidi e dagli altri agenti chimici utilizzati nelle coltivazioni intensive oggi prevalenti. Il pilastro del ribaltamento di questa logica così autodistruttiva non può che essere uno: l’agricoltura biologica. Senza, infatti, essere laureati in Scienze è intuibile per tutti come la soluzione ai problemi descritti passi per la conversione a un’agricoltura biologica che si astenga dallo sfruttamento intensivo dei terreni e dal ricorso ad agenti fortemente inquinanti. Ma ogni rivoluzione ha il suo prezzo ed è proprio qui che intervengono i ricercatori e gli esperti: nel provare a quantificarlo e ipotizzare soluzioni fattibili, non astratte.

LE DUE FACCE DELLA MEDAGLIA

Il pool di ricercatori che ha firmato lo studio si è interrogato non solo sui benefici, ma anche sugli svantaggi di una conversione totale all’agricoltura biologica che, notoriamente, ha una resa inferiore rispetto a quella convenzionale. Se, dunque, come ci dicono alcuni dei più attendibili modelli demografici, nel 2050 la popolazione mondiale potrebbe toccare quota 9 miliardi di persone, per mantenere livelli produttivi in linea con quelli attuali, ma totalmente biologici, servirebbero tra il 16 e il 33% di terreni coltivati in più: problema non da poco in termini di sostenibilità e disponibilità delle risorse. “L’agricoltura biologica implica maggiore attenzione all’ambiente e alle risorse e, per questo, è frequentemente indicata come potenziale soluzione alle sfide che stiamo fronteggiando. Dall’altra parte i critici evidenziano come una totale conversione al biologico richiederebbe una percentuale molto più alta della terra utilizzata e, pertanto, non può essere considerata una scelta percorribile”, evidenziano gli autori dello studio.

MANGIARE MENO CARNE…

E qui ci viene incontro una visione più completa, ecosistemica, basata sull’integrazione di elementi economici, ecologici e sociopolitici con cui affrontare e risolvere il problema. L’agricoltura biologia non sarebbe che uno dei tasselli del “piano B” messo a punto dallo studio. Affiancati da altri due, fondamentali: la riduzione del consumo di carne e dello spreco alimentare. Senza questa combinazione “i critici del biologico avrebbero ragione”, riconoscono i ricercatori stabilendo che “un incremento dell’agricoltura biologica richiede un pari decremento dei terreni coltivabili” affinché il sistema tenga. Tale obiettivo si potrebbe raggiungere riducendo al contempo il consumo di carne e le relative quantità di acqua, energia e mangime che s’impiegano a produrla. Con quest’obiettivo l’impegno è su due fronti. Da una parte gli allevatori dovrebbero ridurre l’utilizzo di mangimi concentrati che mirano alla rapida crescita dell’animale e foraggiare il bestiame al pascolo contribuendo a ridurre il fabbisogno di terreni agricoli impiegati per produrre cibo per gli animali invece che per gli uomini. Dall’altra, dovremmo essere noi consumatori finali a contribuire a un mondo più sostenibile rivedendo drasticamente le nostre abitudini alimentari. Tornando a considerare la carne come facevano le generazioni precedenti: elemento prezioso con cui integrare occasionalmente – una, massimo due volte a settimana- un’alimentazione prevalentemente vegetale. Ai benefici per la nostra salute derivati dalla riduzione del consumo di carne, in particolare quella rossa, oggi aggiungiamo nuovi incentivi di natura ambientale e sociale ai quali non possiamo rimanere sordi.

… E SPRECARE MENO CIBO

Anche l’ultima parte del “piano B” implica una responsabilità diretta dei consumatori e degli addetti al macroscopico settore della distribuzione e somministrazione di cibo: ridurre lo spreco alimentare. Una scommessa di portata enorme se consideriamo che più di un terzo del cibo prodotto ogni anno va perduto o sprecato mentre l’11% della popolazione mondiale soffre la fame e le sue tragiche conseguenze. In questo caso l’obiettivo stimato dai ricercatori è una diminuzione di almeno il 50% del cibo che finisce nella spazzatura invece che sul piatto. Pensiamo a tutte le volte che questo scempio si consuma nella nostra cucina: sarebbe davvero così difficile evitarlo?

COME RISOLVERE L’EQUAZIONE DELLA SOSTENIBILITÀ

Eccoci giunti all’equazione che renderebbe possibile l’attuazione del “piano B” cioè sfamare una popolazione di 9 miliardi persone in modo sostenibile per l’ambiente. I risultati dello studio “mostrano che, ad esempio, un sistema alimentare che combini il 60% di produzione biologica, il 50% in meno di produzione agricola di cibo per animali e il dimezzamento dello spreco alimentare richiederebbe solo un marginale incremento della terra coltivata a fronte di una significativa riduzione dell’emissione di gas serra”, sottolineano gli autori dell’importante studio illustrato. Un risultato straordinario ma impossibile da concretizzare se ognuno di noi non contribuisce con il suo piccolo “zerovirgola”.

Fonte

Strategies for feeding the world more sustainably with organic agriculture. Nature Communications November 2017