Dott.sa Debora Rasio

Medico, specialista in oncologia medica, ricercatrice presso la Sapienza Università di Roma, nutrizionista Rai, Mediaset e La7, autrice dei bestsellers “Death by Medicine” -Axios Press; “La dieta non dieta” -Mondadori- e il recente “La dieta per la vita” -Longanesi, vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute

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Chi è consapevole dell’importanza di un’alimentazione sana, fatta di cibi scelti nella versione quanto più possibile vicina a quella “originale” in cui ce li fornisce Madre Natura, non può prescindere dal prestare attenzione anche agli strumenti e ai contenitori in cui si preparano e conservano questi alimenti. Tendiamo, infatti, a considerare i materiali del tutto a parte, ininfluenti su ciò che a contatto con essi cuciniamo e, poi, mangiamo. Al contrario le nostre pentole, gli utensili, i contenitori e gli “attrezzi del mestiere” in genere, soprattutto se sottoposti a temperature elevate come quelle di cottura, subiscono continui traumi, sbalzi, trasformazioni capaci di lasciare una traccia nel cibo con cui sono venuti a contatto. Basti pensare al semplice gesto di grattugiare il parmigiano: è quasi inevitabile che porti con sé residui dell’arnese utilizzato. L’idea poco gradevole di ritrovarsi nel piatto scagliette invisibili di grattugia, oltre che di formaggio, deve essere moltiplicata per tutti i passaggi di elaborazione dal cibo grezzo a quello cucinato. E poi travasato. E poi conservato. E poi riscaldato. E così via…

GLI INTERFERENTI ENDOCRINI: SUBDOLI NEMICI

Scaglia dopo scaglia, polvere dopo polvere, residuo dopo residuo, il nostro organismo assimila sostanze estranee che è in grado di espellere solo in parte e in dosi contenute, lasciando loro tempo e spazio di insinuarsi dove non dovrebbero. Non a caso queste sostanze si chiamano “interferenti endocrini” in quanto capaci di interferire col nostro equilibrio ormonale proprio perché possiedono una struttura simile a quella degli ormoni che consente loro di accendere o spegnere il normale segnale ormonale. Gli interferenti endocrini sono presenti in maniera trasversale nei cibi, nei giocattoli per i bambini, nella carta termica degli scontrini fiscali, nelle tende della doccia, nei profumi, nelle creme che applichiamo sul corpo e in tanti, purtroppo troppi, altri prodotti. Inclusi quelli che utilizziamo a contatto continuo con ciò che mangiamo. Quella pentola dal bell’aspetto acquistata per poco prezzo potrebbe essere stata solo in apparenza un buon affare: il materiale scadente di cui molto probabilmente è fatta tende, più di altri, a rilasciare interferenti endocrini. Dei nemici insidiosi e subdoli perché i loro effetti si manifestano a distanza di anni e non nell’immediato. Parliamo di danni a livello di cervello, tiroide, surrene, ovaio, testicoli, sistema immunitario e metabolismo che si manifestano sotto forme di malattie anche gravi quali anomalie a carico di reni, vie urinarie e apparato genitale, alterazioni dello sviluppo del cervello, malfunzionamento del sistema immunitario, infertilità, endometriosi, disfunzioni metaboliche, obesità, diabete, tumori al testicolo e al seno. I rischi degli interferenti endocrini sono concreti: persino il Ministero dell’Ambiente ha compilato un decalogo, disponibile online, su come minimizzarne l’esposizione. Proprio perché non li vediamo, non li percepiamo, non ne accusiamo gli effetti subito, contro gli interferenti endocrini non ci resta che giocare d’anticipo limitando quanto più possibile l’utilizzo di materiali che ne contengono. Soprattutto in cucina, quando rischiamo – molto più spesso di quanto crediamo – di facilitare l’ingresso di queste sostanze nel corpo dando loro “un passaggio” attraverso ciò che mangiamo.

NON SOLO COSA CUCINI, MA CON COSA CUCINI

I primi interferenti endocrini dai quali è bene astenersi sono gli ftalati presenti in moltissime PLASTICHE di uso comune. Le plastiche rilasciano “fisiologicamente” ftalati soprattutto se sottoposte ad alte temperature. Ecco che il classico gesto di riporre vivande ancora calde nel contenitore di plastica destinato, a sua volta, al frigorifero diventa un ideale vettore di ftalati nel cibo prima, e dentro noi stessi poi. Per questo la minima accortezza è quella di adoperare i contenitori alimentari in plastica solo per cibi secchi e asciutti a basso potere estrattivo come i biscotti, i legumi, i cereali, lo zucchero, la frutta secca ecc. E non cucinate con utensili in plastica, il calore accelera il trasferimento di particelle dalla plastica agli alimenti.

L’ideale sarebbe utilizzare sempre recipienti in VETRO, il materiale più sicuro per la conservazione alimentare perché completamente atossico e tra i pochi a non rilasciare sostanze. Ragion per cui i contenitori in vetro borosilicato (PYREX), cioè trattato in modo da resistere al calore, sono ritenuti tra i più sicuri per cuocere e resistenti alle interazioni con gli alimenti. Il punto debole del pyrex è che il suo uso è limitato al forno, mentre non resiste sul fuoco vivo dei fornelli.

Molto più resistente alle alte temperature è l’ALLUMINIO, materiale diffusissimo per pentole e attrezzi da cucina grazie anche ai suoi costi contenuti e alla sua leggerezza. D’altra parte, l’alluminio tende a rilasciare residui metallici nel cibo sia perché particolarmente soggetto a corrosione, sia perché interagisce con gli alimenti in cottura e a temperatura ambiente, soprattutto con quelli più acidi come il pomodoro o il limone e quelli salati. Niente di buono considerando che l’alluminio è un metallo tossico specialmente per il cervello, ed è estremamente persistente.

Minori controindicazioni le presenta l’ACCIAIO INOX, solido, resistente alle corrosioni e facilmente lavabile. L’acciaio inox è una lega composta da ferro, cromo, nichel e altri metalli quindi chi è allergico al nichel deve scegliere pentole o padelle in acciaio inox 18/c cioè totalmente prive di nichel.

PADELLE ANTIADERENTI. NON SEMPRE IRRINUNCIABILI

A proposito di padelle chiunque ne possiede almeno una antiaderente. Questa caratteristica è irrinunciabile per cotture veloci, croccanti, saporite e a ridotto contenuto in grassi. Ma tanti apparenti pregi sono costati nei decenni cari ai consumatori considerando che il politetrafluoroetilene, meglio noto come TEFLON, con cui è rivestito il fondo del tegame per renderlo antiaderente, rilascia PFOA, un interferente endocrino particolarmente nocivo per fegato e tiroide in grado di indurre tumori negli animali. Il PFOA – già bandito in virtù della sua pericolosità nelle produzioni di paesi come gli USA – si rilascia dalle padelle usurate o pulite con una spugna abrasiva che espongono il materiale in superficie da dove passa negli alimenti. Cucinando ad elevate temperature, inoltre, dal TEFLON si liberano vapori tossici che saranno inalati da chi è in cucina. Particolarmente pericolosi per gli uccelli: sono centinaia i casi di canarini e pappagalli domestici trovati morti per aver respirato i fumi rilasciati durante la cottura in padelle o forni rivestiti in TEFLON!  Il PFOA è incredibilmente persistente essendo in grado di restare nell’ambiente e nel nostro corpo per decenni: uno studio americano ha rilevato la presenza di PFOA nel sangue del 98% della popolazione. Teniamocene alla larga, dunque, e preferiamo la ceramica, ultima frontiera in materia di padelle antiaderenti perché resiste a graffi e alte temperature senza subire la corrosione dei cibi acidi o dei detersivi. Ma attenzione anche in questo caso a non cedere a prezzi troppo invitanti: potrebbero nascondere prodotti solo “rivestiti” di nuove leghe in polvere di ceramica che poco hanno a che vedere con la vera ceramica, pesantissima.

NEL DUBBIO, MEGLIO ANDARE SUL SICURO

Non abbiamo oggi dati che materiali del genere siano nocivi, ma il problema è che per scoprirlo possono passare decenni dalla loro messa in commercio. Nel dubbio è dunque bene affidarsi a materiali sicuramente non nocivi, quali vetro, acciaio inox, terracotta trattata in modo naturale e legno per utensili e taglieri. Anche qui attenzione al prezzo: quelli venduti per pochi euro molto probabilmente saranno composti da sottoprodotti del legno (resine, truciolato) facilmente impregnabili e scheggiabili e in grado di rilasciare tracce di materiali usati per incollare insieme i residui del legno.