Dott.sa Debora Rasio

Medico, specialista in oncologia medica, ricercatrice presso la Sapienza Università di Roma, nutrizionista Rai, Mediaset e La7, autrice dei bestsellers “Death by Medicine” -Axios Press; “La dieta non dieta” -Mondadori- e il recente “La dieta per la vita” -Longanesi, vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute

Il nuovo volto dei cereali (e no, non esistono gli pseudo-cereali)

Indice

Per comprendere il ruolo dei carboidrati nell’alimentazione umana dobbiamo ripercorrere un momento fondamentale della storia della civiltà: la nascita dell’agricoltura. Circa 12.000-11.000 anni fa, in almeno 11 regioni del Vecchio e Nuovo Mondo (ma si presume siano state molte di più) dislocate in aree geograficamente isolate, l’uomo apprende “l’arte” di ibridare diverse piante selvatiche per dare origine ai cereali.

Questo termine non indica una specie botanica, ma l’insieme di tutte le piante i cui semi o frutti, essendo ricchi in carboidrati, sono utili per il sostentamento dell’uomo. Sono dunque cereali non solo le Graminacee ma anche le Amarantacee (l’amaranto), le Chenopodiacee (la quinoa) e le Poligonacee (il grano saraceno). Fa eccezione la patata, che pur essendo ricca di amido e quindi fonte di energia, non è un seme ma un tubero che cresce sottoterra lontano dal sole.

In diversi punti del mondo si sviluppano e si imparano a domesticare specie diverse: il riso, il miglio e il grano saraceno in Estremo Oriente, il miglio, il teff e il sorgo in Africa, il frumento e l’orzo in Medio Oriente, l’avena e la segale nel Nord d’Europa, il mais in Nord America, l’amaranto, la manioca e la quinoa in Centro e Sud America, il taro e la patata dolce nelle isole del Pacifico. Queste domesticazioni “primarie” si propagano attraverso “onde di avanzamento” verso le regioni adiacenti, sostenute da gruppi di agricoltori migranti, dando luogo a domesticazioni “secondarie” che diffondono l’agricoltura a tutto il mondo abitato.

I cereali cambiano definitivamente la struttura sociale dell’uomo. Fino a quel momento, per oltre 200.000 anni, la caccia e la raccolta di piante commestibili era stata la principale strategia di sopravvivenza per l’Homo sapiens, in continuo movimento alla ricerca di cibo. Con l’agricoltura l’uomo diventa stanziale e può sviluppare comunità via via più grandi.

Nel chicco integro l’armonia delle parti

Il seme dei cereali contiene i nutrienti necessari allo sviluppo della pianta e al sostentamento dell’uomo.

Nella sua parte centrale o endosperma si accumulano i carboidrati in forma di amido e alcune proteine di scarsa qualità perché povere degli amminoacidi essenziali lisina e metionina. Nella parte più interna, detta “germe” o “embrione”, si concentrano i grassi buoni, vitamine, minerali, proteine, sostanze antiossidanti e fibra solubile. Negli strati esterni si trovano proteine ad elevato valore biologico perché ricche in lisina, prolina, leucina e glutammina dette albumine, la fibra solubile e insolubile, i minerali, le vitamine idrosolubili, l’acido fitico e numerosi antiossidanti. Nutrienti imprescindibili affinché i cereali possano esercitare, una volta ingeriti, i loro effetti benefici sulla fisiologia, e che sono inesorabilmente perduti con la raffinazione.

Le farine bianche raffinate, infatti, sono private delle vitamine e dei minerali necessari a trasformare l’amido in energia attraverso reazioni che avvengono nei mitocondri. Hanno perduto gli antiossidanti necessari a proteggere le cellule dallo stress ossidativo generato durante i processi metabolici. Mancano della fibra, in grado di rallentare la digestione dei carboidrati e di frenarne l’assorbimento contribuendo a mantenere stabili nel tempo i livelli di glicemia e prevenendo così pericolosi picchi di iper- e ipoglicemia. Fibra che è anche nutrimento fondamentale per i batteri buoni del nostro intestino che la trasformano in molecole – gli acidi grassi a catena corta – in grado di entrare nel circolo sanguigno e ottimizzare il metabolismo degli zuccheri e dei grassi contribuendo a regolarizzarne i livelli. E non è un caso che la terapia nutrizionale del diabete poggi proprio sul consumo dei cereali integrali nei quali la fibra ha la funzione di antidoto all’innalzamento della glicemia che i carboidrati altrimenti indurrebbero.

Con la raffinazione perdiamo quell’equilibrio perfetto racchiuso nel chicco intero che è in grado di fornire all’uomo carboidrati, proteine e acidi grassi essenziali, corredati dei micronutrienti – vitamine, minerali, oligoelementi, antiossidanti – necessari alla loro trasformazione in energia. La perdita della fibra, inoltre, “sbilancia” fortemente la capacità dei cereali di innalzare la glicemia, con conseguenze incalcolabili sulla salute, come dimostrano i numeri: nel 2015 oltre 415 milioni di persone nel mondo sono state colpite dal diabete e, all’attuale ritmo di crescita, si prevede cresceranno a 642 milioni nel 2040.

Il grano che consumiamo oggi, inoltre, è ben diverso da quello inizialmente domesticato. E non parliamo della selezione di varianti vantaggiose o delle ibridazioni con cui l’uomo nei millenni ha migliorato la resa dei campi, ma dell’impiego di radiazioni ionizzanti per creare varietà di grano “nanizzate”, più facili da raccogliere perché non allettano con vento e pioggia, dal profilo amminoacidico mutato, e plausibilmente in grado di innescare reazioni del sistema immunitario alla base della celiachia e della sensibilità al glutine, sempre più dilaganti.

Parliamo dell’utilizzo smodato di concimi chimici che apportano alla terra soltanto azoto e tutt’al più fosforo e potassio, a fronte dei molti minerali che la pianta assorbe con le sue radici, con il progressivo impoverimento del contenuto in minerali (e del sapore) dei suoi semi. La stessa terra preservata fertile per millenni attraverso la rotazione delle colture e il riposo è oggi intensamente sfruttata e depauperata delle proprie ricchezze, impoverita al punto da dover essere abbandonata, preda dell’erosione dagli agenti atmosferici e della desertificazione.

Parliamo ancora dell’avvelenamento della terra e dei suoi frutti con fitofarmaci, molti dei quali appurati cancerogeni, spruzzati più volte durante il ciclo vitale della pianta e ancora somministrati durante lo stoccaggio dei cereali nei silos e il loro trasporto oltre oceano. Pesticidi che ritroviamo nel sangue e nelle urine, nel liquido amniotico, nei bambini appena nati.

Parliamo infine della pratica di aggiungere, nella lavorazione delle farine per panificare, un cocktail di sostanze chimiche che vanno dai conservanti chimici e i “miglioratori delle farine” (che per legge non devono essere indicati in etichetta), agli sbiancanti e antimuffa, ai tensioattivi, all’acido ascorbico, al solfato di rame per un totale di oltre 40 diversi additivi ammessi in Italia. Della macinazione delle farine in mulini ad alta velocità che ossidano quel poco di vitamine rimaste e distruggono le fitasi, importanti enzimi vegetali che il nostro intestino non possiede e che neutralizzano l’acido fitico, una sostanza presente negli strati esterni del chicco che lega tenacemente i minerali rendendoli indisponibili per l’assorbimento.

Comprendiamo così quanto siano cambiati i cereali di cui si nutre oggi l’uomo. E quanto abbiano perso la capacità di sostenere la salute, acquisendo, al contrario, il potenziale di danneggiarla.