Dott.sa Debora Rasio

Medico, specialista in oncologia medica, ricercatrice presso la Sapienza Università di Roma, nutrizionista Rai, Mediaset e La7, autrice dei bestsellers “Death by Medicine” -Axios Press; “La dieta non dieta” -Mondadori- e il recente “La dieta per la vita” -Longanesi, vanta una notevole attività di ricerca anche all’estero – fra le collaborazioni quella con il Kimmel Cancer Center della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Proprio l’attività come oncologa e i suoi studi nel campo della biologia molecolare l’hanno portata a interessarsi di alimentazione come strumento per tutelare la salute

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Siamo giù di morale e cerchiamo conforto nei dolciumi o in un pacchetto di salatini bisunti. Niente di più sbagliato: proprio quel cibo che dovrebbe consolarci potrebbe, invece, intensificare il nostro malessere psico-fisico. Quante volte ci è capitato di essere tristi o particolarmente di malumore e sentirci, per questo, quasi “autorizzati” al peccato di gola? Nulla d’irrimediabile, nell’immediato quello snack zuccheratissimo o salatissimo sembrerebbe persino  funzionare. Il problema arriva quando lo strappo alla regola diventa abitudine e tutte quelle calorie prive di nutrienti tipiche degli alimenti molto trasformati industrialmente, ricchi di zuccheri e sale, finiranno con il deprimerci di più.

DEPRESSIONE E INFIAMMAZIONE
Da diversi anni gli studiosi hanno iniziato a osservare la depressione da un punto di vista nuovo, considerandola cioè una risposta del cervello a uno stato d’infiammazione cronica. Abbiamo avuto modo di spiegare in precedenza  come l’infiammazione non sia altro che una risposta del sistema immunitario a un attacco esterno. Benefica quindi, purché non degeneri in uno stato cronico, una sorta di fuoco sempre acceso che danneggia i nostri meccanismi biologici, erode i tessuti, compresi quelli cerebrali, spianando la strada all’insorgere di gravi malattie: da quelle cardiovascolari, al diabete di tipo 2, passando per quelle neurodegenerative come l’Alzheimer. È in questo contesto che la ricerca sta provando a inquadrare, con risultati incoraggianti, il rapporto tra il cosiddetto junk-food e la depressione. Quest’ultima, infatti, può essere considerata un ulteriore sintomo di uno stile di vita e un’alimentazione scorretti.

DALL’INTESTINO AL CERVELLO
Dalla pancia alla mente, come noto, il passo è breve.

Alimenti molto trasformati – ricchi di grassi “cattivi” e conservanti, ma poveri in nutrienti – parliamo di dolciumi, bibite zuccherati, snack salati, salumi sono acerrimi nemici della salute del nostro intestino. Questo, nel tentativo di difendersi, manterrà lo stato d’infiammazione sempre acceso lasciando che si propaghi al resto del corpo, cervello incluso. Insomma, a un intestino infiammato corrisponde un cervello infiammato come emerge da numerosi studi nei quali persone con alti livelli dei marcatori d’infiammazione nel sangue sono risultate maggiormente predisposte alla depressione e alla malattie neurodegenerative. Al contrario, frutta e verdura, legumi e cereali integrali ricchi di fibra e antiossidanti, il pesce con i suoi grassi “buoni” omega-3 sono tutti antinfiammatori. Per non parlare di erbe aromatiche e spezie (la curcuma in primis), ricchissime di fitomolecole ad azione protettiva.

LO STUDIO “DEL SORRISO”
La funzione antidepressiva del cibo sano trova riscontro in numerosi di studi. Molto interessante in tal senso una nuova ricerca condotta dal Centro per il cibo e l’umore della Daikin University (Australia) e denominato, non a caso, “SMILES”. Con l’obiettivo di testare l’efficacia di un programma di nutrizionale sul trattamento della depressione sono state selezionate 67 persone in cura dalla malattia tramite terapia farmacologica, o psicoterapia, o entrambe. L’altro requisito dei pazienti era condurre una dieta squilibrata, caratterizzata da consumo abituale di cibi preconfezionati e scarso di frutta e verdura con conseguente alto apporto di grassi modificati, zuccheri e calorie vuote e basso di nutrienti essenziali, sali minerali, vitamine e fibre. Il campione è stato diviso in due gruppi tenuti sotto osservazione per 12 settimane. Al primo, quello di controllo, è stato chiesto di  proseguire il consueto stile alimentare. Il gruppo d’intervento, invece, è stato portato a virare verso olio extra vergine d’oliva, frutta secca oleosa, semi, uova, frutta, verdure, pesce, senza escludere un consumo moderato di carne rossa e formaggio. Per riuscire nella svolta i partecipanti hanno preso parte a sette sessioni individuali di educazione alimentare tenute da un nutrizionista, con focus sulla Dieta Mediterranea. Prima dell’inizio dell’esperimento il livello di depressione di partenza di ognuno era stato registrato secondo la scala Motgomery – Asberg (MADRS) anche detta “scala della depressione” perché comunemente adottata nella misura della gravità dei disturbi dell’umore.

Trascorsi i tre mesi il punteggio MADRS del gruppo a dieta era migliorato in media di 11 punti a fronte dei soli 4 del gruppo di controllo. Così, il 32%  di  quanti avevano cambiato regime alimentare alla fine delle 12 settimane non presentava più i segnali della malattia, laddove nel gruppo di controllo i casi di remissione si sono fermati all’8%.

DIFENDERSI, OGNI GIORNO, A TAVOLA
Questi risultati indicano che migliorare le proprie abitudini alimentari rappresenta un efficace e accessibile strategia di contrasto ai disturbi del tono dell’umore. Alimenti integrali, genuini, non trattati garantiscono infatti l’apporto di tutti quei macronutrienti essenziali per proteggere il cervello dagli attacchi degli squilibri ambientali a cui andiamo soggetti giornalmente. Mangiamoci (bene) su per non impazzire.

Fonte: A randomised controlled trial of dietary improvement in adults with major depression (the “‘SMILES” trial) BMC Medicine, 2017